Responsabilità solidale nella Srl, fari puntati sul requisito dell’intenzionalità
La decisione in commento (Cass. n. 22169/2025) delimita l’ambito applicativo dell’art. 2476, comma 8, c.c, chiarendo i requisiti di condotta commissiva, intenzionalità e rilevanza della posizione di minoranza nella compagine sociale
La pronuncia della Corte di Cassazione in esame fornisce un’interpretazione sistematica dell’art. 2476, comma 8, c.c., che disciplina la responsabilità solidale dei soci nelle società a responsabilità limitata per atti dannosi compiuti dagli amministratori. La decisione delimita l’ambito applicativo della norma, chiarendo i requisiti della condotta commissiva, dell’intenzionalità e la rilevanza della posizione di minoranza nella compagine sociale.
La vicenda trae origine dal fallimento di una società a responsabilità limitata, i cui organi hanno agito in responsabilità nei confronti dell’amministratore unico e dei soci, contestando a questi ultimi di aver intenzionalmente ritardato l’adozione delle misure imposte dalla legge a seguito della completa erosione del capitale sociale. I giudici di merito hanno riconosciuto la responsabilità dei soci, evidenziando come gli stessi, pur nella piena consapevolezza della situazione deficitaria, avessero procrastinato per mesi l’adozione delle determinazioni previste dall’art. 2482-ter c.c., consentendo la prosecuzione dell’attività d’impresa in perdita con conseguente aggravamento del dissesto.
La Corte di Cassazione ha respinto ricorso il chiarendo che la norma costituisce un’eccezione al principio generale della limitazione di responsabilità dei soci sancito dall’art. 2462, comma 1, c.c., correlando la responsabilità al fatto che i soci abbiano “deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi”. La norma presuppone necessariamente una condotta commissiva, a cui sia seguito il compimento di un determinato atto indotto, avente ad oggetto la gestione della società, ad opera degli amministratori.
La condotta di decisione o autorizzazione non necessita di formalizzazione, potendo desumersi da atti formali quanto da manifestazioni di volontà che abbiano, anche in via di mero fatto, direttamente dato impulso o influenzato l’attività degli amministratori. Ciò che rileva, dunque, è l’effettiva influenza sull’attività gestoria. Questa può concretizzarsi in modalità diverse, purché si possa ricondurre al socio un coinvolgimento diretto nell’assunzione delle scelte gestorie dannose.
Particolare rilievo assume l’interpretazione del requisito dell’intenzionalità. La Corte ha respinto la tesi dei ricorrenti secondo cui l’avverbio “intenzionalmente” dovesse essere inteso come dolo di danno, osservando che l’intenzionalità deve riferirsi all’atto commissivo di decisione o autorizzazione e non al danno che ne è derivato. Un’interpretazione nel senso del dolo di danno determinerebbe una disparità di trattamento rispetto alla responsabilità dell’amministratore, che risponde del danno arrecato a prescindere dalla previsione delle conseguenze pregiudizievoli. Il socio diviene quindi responsabile del danno arrecato in ragione del fatto che abbia deciso o autorizzato l’atto con l’intenzione di orientare in quei termini l’operato degli amministratori, a prescindere dalla specifica volontà di cagionare un danno.
Un ulteriore profilo rilevante riguarda la responsabilità dei soci titolari di quote di minoranza. Quanto alla responsabilità dei soci di minoranza, la Corte ha affermato che la responsabilità deve essere attribuita a tutti coloro che abbiano aderito e contribuito alla condotta commissiva, indipendentemente dal peso della loro partecipazione. La volontarietà della condotta supera e assorbe la misura del contributo al compimento dell’atto gestorio dannoso. Nel caso specifico, la circostanza che le delibere fossero state assunte all’unanimità e che tutti i soci avessero perseguito il comune intento di cedere le proprie quote prima della liquidazione risultava sufficiente a ravvisare la responsabilità anche dei soci minoritari.
La pronuncia si inserisce in un orientamento giurisprudenziale volto a sanzionare i comportamenti dei soci che, pur non rivestendo formalmente cariche amministrative, esercitino di fatto un’influenza determinante sulla gestione sociale, impedendo di utilizzare la frammentazione delle partecipazioni sociali come strumento per sottrarsi alla responsabilità per comportamenti pregiudizievoli.
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*Antonio Martini (Partner), Ilaria Canepa (Senior Associate), Alessandro Botti (Associate ) e Silvia Spaliviero (Associate) - CBA Studio Legale e Tributario
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