Lavoro

RSA e rappresentatività, la Consulta apre un nuovo capitolo per il pluralismo sindacale

La Corte costituzionale, sentenza n. 156/2025, allarga il quadro delle rappresentanze aziendali (Rsa) alle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale

di Carlo Marinelli

Con la sentenza n. 156 del 2025, depositata il 30 ottobre, la Corte costituzionale ha compiuto un passo destinato a incidere profondamente sugli equilibri delle relazioni industriali italiane. Intervenendo ancora una volta sull’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non prevede che le rappresentanze sindacali aziendali (RSA) possano essere costituite anche nell’ambito delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. La decisione arriva oltre un decennio dopo la celebre sentenza n. 231 del 2013, che aveva già corretto l’impianto dell’art. 19 introducendo il diritto di costituire RSA anche per i sindacati che, pur non firmatari del contratto collettivo, avessero partecipato alla relativa trattativa. Oggi la Corte fa un passo ulteriore, colmando un vuoto normativo che negli anni ha generato contenziosi e tensioni nei luoghi di lavoro, dove sigle “non allineate” rischiavano di essere escluse dalla rappresentanza aziendale pur godendo di un consenso reale tra i lavoratori.

La questione di principio - Tutto nasce a Modena, da una causa tra ORSA Trasporti TPL e la società di trasporto pubblico SETA spa. Il sindacato, forte di un buon seguito tra i dipendenti e risultati elettorali significativi, si era visto negare la possibilità di costituire una RSA solo perché non aveva firmato – né partecipato alla negoziazione – del contratto collettivo applicato. Il giudice rimettente ha ritenuto che questa esclusione producesse una disparità di trattamento tra sindacati e, di fatto, consentisse al datore di lavoro di “scegliersi” gli interlocutori più graditi, comprimendo il principio di pluralismo sindacale tutelato dall’articolo 39 della Costituzione. Da qui il rinvio alla Consulta, che ha accolto la tesi del vulnus costituzionale, ravvisando una lesione anche del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’articolo 3. Nella sua articolata motivazione, la Corte ricostruisce la lunga evoluzione dell’articolo 19, a partire dall’abrogazione referendaria del 1995 che cancellò il criterio dell’affiliazione confederale, lasciando in piedi soltanto quello della firma del contratto. Già allora, osserva la Consulta, il legislatore aveva inteso legare la rappresentatività a un indice empirico, la sottoscrizione del contratto, ritenuto segno tangibile di forza negoziale. Ma nel tempo questo criterio si è rivelato insufficiente, e talvolta distorsivo. Al contrario di quanto accade nel pubblico impiego, dove la partecipazione alla contrattazione collettiva è legato ad un parametro certo ossia una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a tal fine la media tra il dato associativo e il dato elettorale. La Corte respinge dunque l’idea che la partecipazione alle trattative sia l’unico metro di rappresentatività, poiché, in assenza di regole oggettive, lascia spazio alla discrezionalità datoriale.

Il nuovo criterio: la rappresentatività comparativa - Per rimediare al vuoto, la Consulta adotta in via interinale un criterio già consolidato in altri ambiti: quello delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. È una formula nota al legislatore, utilizzata, tra l’altro, nel decreto legislativo n. 81 del 2015 e nel più recente decreto sui contratti pubblici del 2023. In concreto, ciò significa che potranno costituire RSA anche quei sindacati che, pur non firmatari o non invitati alle trattative aziendali, risultino riconosciuti come comparativamente più rappresentativi rispetto ad altri, secondo parametri già applicati a livello nazionale (iscritti, deleghe, risultati elettorali). Non si tratta, precisa la Corte, di ripristinare la vecchia formula della “maggiore rappresentatività confederale” abrogata nel 1995. La nuova chiave è diversa: non privilegia l’appartenenza a una confederazione storica, ma la forza effettiva e misurabile del sindacato, valutata in termini comparativi.

Le ricadute pratiche e politiche - Le conseguenze della decisione sono potenzialmente molto ampie. Nelle aziende dove operano sindacati autonomi o di base, spesso più radicati nei reparti che nei tavoli confederali, la possibilità di costituire RSA potrà tradursi in un rafforzamento concreto della presenza sindacale e nella possibilità di partecipare alle contrattazioni di secondo livello. Al tempo stesso, la Corte auspica un intervento del legislatore con il compito di una “riscrittura organica” dell’art. 19, capace di valorizzare in modo stabile e trasparente l’effettiva rappresentatività in azienda. Il messaggio è chiaro: serve una legge che metta ordine, magari ispirandosi al sistema di certificazione già sperimentato nel pubblico impiego e nel Testo unico sulla rappresentanza del 2014. A oltre cinquant’anni dalla sua approvazione, lo Statuto dei lavoratori continua a essere terreno di evoluzione costituzionale.

Se il legislatore, come ormai da più parti auspicato, saprà raccogliere l’indicazione della Corte, potrà finalmente delineare una disciplina unitaria e trasparente, capace di certificare la forza reale delle organizzazioni sindacali così come è stato fatto nel pubblico impiego con un effetto deflattivo del contenzioso. Se invece continuerà a prevalere la logica della conservazione, saranno probabili nuovi interventi della giurisprudenza per colmare le lacune, confermando quel “dialogo forzato” tra diritto e politica che da sempre accompagna l’evoluzione dello Statuto dei lavoratori.

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