Sanzioni disciplinari, l’avvocato “stabilito” non può difendersi dal solo
L’avvocato “stabilito” non può proporre da solo ricorso al Cnf contro la sanzione disciplinare perché è privo dello ius postulandi, essendo iscritto presso la sezione speciale dell’albo degli avvocati stabiliti. Lo hanno chiarito le Sezioni unite della Cassazione, sentenza n. 24279 depositata oggi, rigettando il ricorso di un legale sospeso per due mesi dal Consiglio di disciplina di Milano per aver «adottato ed utilizzato in qualsiasi occasione il titolo italiano in forma abbreviata («avv.» e «avv.S.»), titolo italiano non in suo possesso, così generando confusione con il titolo professionale dello Stato membro ospitante».
Il ricorrente ha sostenuto il diritto a difendersi in proprio avanti al Cnf, in sede di giudizio disciplinare, senza necessità di «agire di intesa con un professionista abilitato». La Suprema corte ricorda che nell’ordinamento forense si applica il principio della difesa tecnica, “in forza del quale la difesa personale postula il possesso della indicata qualità necessaria”. Dunque, per difendersi personalmente nel procedimento disciplinare davanti al Consiglio nazionale forense, l’incolpato deve avere la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice adito (articolo 86 c.p.c), e cioè deve essere iscritto nell’albo professionale degli avvocati.
Del resto, secondo l’articolo 8 del Dlgs n. 96/2001, l’avvocato stabilito, e cioè il cittadino di uno degli Stati membri dell’Unione europea che esercita stabilmente in Italia la professione di avvocato con il titolo professionale di origine e che è iscritto nella sezione speciale dell’albo degli avvocati [articolo 3, lett. d), Dlgs n. 96 del 2001], non ha nel nostro ordinamento, un autonomo ius postulandi: egli può svolgere attività di rappresentanza, assistenza e difesa solo se agisca «di intesa con un professionista abilitato»: intesa che deve essere documentata.
Ne può applicarsi, come pure richiesto dal ricorrente, l’applicazione dell’articolo 182 c.p.c., il quale al secondo comma, a seguito della modifica apportata dall’articolo 3, comma 13, Dlgs n. 149/2022, prevede la sanatoria del vizio della costituzione della parte determinato dalla mancanza di procura ad litem. Infatti, precisa la Corte, la nuova disciplina si applica ai soli procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023 (il giudizio davanti al Cnf risale al 24 dicembre 2019).
La Cassazione dichiara poi inammissibili gli altri motivi, tra cui quello che sostiene non esserci alcun obbligo per l’avvocato stabilito di agire di intesa con un professionista abilitato davanti al Cnf, considerato che la pronuncia impugnata “non ha affrontato il merito della vicenda portata al suo esame, essendosi limitata ― come si è visto ― a dichiarare l’inammissibilità del ricorso per l’assenza dello ius postulandi”.