Se c’è fumus di incapacità perizia esclusa solo con adeguata motivazione
Lo ha ribadito la Corte di cassazione penale con la sentenza n. 31306 depositata oggi
In tema di capacità dell’imputato a stare in giudizio, il giudice - alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’espressione “se occorre”, contenuta nella previsione dell’art. 70, comma 1, Cpp - può non procedere ad approfondimento specialistico se si convinca autonomamente dello stato di incapacità, mentre a fronte di un “fumus” di incapacità non può negare l’indagine peritale senza rendere idonea e convincente motivazione. Lo ha ribadito la Corte di cassazione, sentenza n. 31306 depositata oggi, accogliendo sotto questo profilo la doglianza di uno dei due ricorrenti, condannati entrambi a otto mesi di reclusione e 600 euro di multa per ricettazione di “gratta e vinci” rubati.
La ricorrente aveva impugnato il rigetto della richiesta di un accertamento peritale volto a verificare la sua capacità di stare in giudizio, sostenendo di essere “affetta da un grave disturbo della personalità con difficoltà relazionali”.
Per la II Sezione penale il motivo è da accogliere. Dalla documentazione risulta infatti che la donna aveva documentato il proprio stato di invalidità totale al 100%, con necessità di accompagnamento, “in quanto non ritenuta idonea allo svolgimento di atti della vita quotidiana”, per come certificato dall’Inps in ragione di “disturbi della personalità di tipo relazionale”. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di merito, la documentazione, proveniente da un centro di salute mentale, copriva anche il 2023, e dunque non era risalente nel tempo.
Per la Cassazione, dunque, mentre “sussisteva in astratto un fumus di incapacità”, il diniego della perizia si è basato “su elementi contraddittori ed, in parte, travisati”.
La Suprema corte ha poi accolto anche il ricorso del coimputato che lamentava la mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, da parte della Corte di appello, sulla base della sola indicazione di un precedente penale. Si trattava – spiega la decisione - di precedente “non ostativo” rispetto a una nuova concessione del beneficio (ai sensi dell’art. 164, quarto comma, cod. pen.), riguardando un reato contravvenzionale commesso nel 2018 (getto pericoloso di cose, ai sensi dell’art. 674 cod. pen.) in relazione al quale l’imputato aveva riportato una condanna a quindici giorni di arresto.
Si era dunque, conclude la Corte, in presenza delle condizioni per concedere il beneficio e il solo richiamo all’esistenza di un precedente non ostativo di poco conto “non può ritenersi esaustiva in assenza di altre indicazioni, anche implicite, inerenti al giudizio prognostico di ricaduta nel reato, che non possono essere adottate in questa sede in quanto relative al merito del giudizio”.
La sentenza è stata annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce.