Società tra avvocati, la legittimità dei soci di capitale va alla Consulta
Il Cnf ha rimesso la questione che parte da un ricorso dell’Unione delle camere civili alla Corte costituzionale. Per i civilisti: “È un passaggio storico”
Il Consiglio Nazionale Forense (ordinanza n. 87/2025) ha rimesso alla Corte costituzionale la norma che ammette la presenza (sia pure di minoranza) di soci di capitale nelle società tra avvocati. Si tratta dell’art. 4-bis della legge professionale forense (L. 247/2012), introdotto in un secondo momento dalla L. 124/2017. I dubbi concernono la tutela dell’indipendenza e dell’autonomia dell’avvocato, nonché la compatibilità della normativa con gli articoli 3, 24, 41 e 111 della Costituzione.
Per l’Unione delle Camere civili, promotrice del ricorso contro la mancata cancellazione di due Srl dell’albo, si tratta di un “passaggio storico per l’Avvocatura italiana”. Il Coa Roma, infatti, nonostante condividesse le argomentazioni presentate dai civilisti, aveva dovuto rigettare l’istanza di cancellazione alla luce della normativa vigente.
La Srl, ricorda l’Uncc nel ricorso, era iscritta all’albo nella Sezione speciale STA e il suo presidente e legale rappresentate era un imprenditore nel ramo assicurativo, noleggio di veicoli e luxury yacht charter, nonché procuratore di una compagnia assicurativa. La società inoltre svolgeva iniziative commerciali come corsi di formazione professionale e preparazione a concorsi, offerte di prodotti assicurativi, audit e analisi di processi aziendali, creando così una “commistione tra la professione forense e altre attività di natura incerta che si tradurrebbe nell’aggiramento delle incompatibilità previste dalla legge Professionale e dai codici deontologici nazionali e europei”.
La società si è difesa sostenendo la conformità del proprio statuto e operato al dettato normativo. Dall’atto costitutivo, infatti, risulta che due avvocati sono titolari dei 2/3 del capitale sociale e dei diritti di voto nonché della maggioranza assoluta del C.d.A. della società. Anche l’oggetto sociale che prevede l’esercizio dell’attività forense e l’organizzazione di corsi di formazione professionale non sarebbe “in contrasto con l’attività che potrebbe essere svolta pacificamente anche dal singolo avvocato”.
Il Cnf, stabilita la propria competenza, ricorda che con l’art. 5 della legge n. 247/2012 il Governo era stato delegato a disciplinare la materia delle società tra avvocati prevedendo che “l’esercizio della professione forense in forma societaria sia (fosse) consentito esclusivamente a società i cui soci siano (fossero) avvocati iscritti all’albo”. “Malgrado tale inequivocabile disposizione – prosegue l’ordinanza -, il comma n. 141 della legge n. 124/2017 in palese contrarietà ha consentito la partecipazione a società esercenti la professione forense anche a soggetti non avvocati prevedendo unicamente dei limiti di partecipazione (non più di un terzo del capitale sociale e riserva ai soci avvocati della maggioranza dei membri dell’organo gestorio)”.
Tale cambio di rotta, continua il Cnf, probabilmente va individuato “in una diffusa esigenza di incremento di concorrenza, ma tale innovazione aveva sin da subito prestato il fianco a critiche”. Il diritto di difesa, “inviolabile caposaldo”, per essere tale infatti deve “svolgersi in totale indipendenza, in assenza di qualsivoglia conflitto di interessi o compromissione della libertà di esercitare l’attività defensionale per rapporti con lo Stato, con la politica o con fonti di potere e poteri economici”.
Si tratta, si legge nell’ordinanza, di una “libertà” finalizzata “non tanto e non solo al libero esercizio dell’attività professionale legale ma al superiore interesse di assicurare una Giustizia giusta” che appare in pericolo “in ipotesi di condominio con soggetti ontologicamente diversi e così con esigenze puramente economiche quali quelle (legittime e ben comprensibili) di cui poteva essere portatore un socio di puro capitale”. Dubbi fatti propri anche dalla sentenza della Corte Ue (19 dicembre 2024) in cui si sottolinea che gli avvocati non esercitano la loro attività con un obiettivo unicamente economico, ma sono tenuti al rispetto delle norme professionali e deontologiche.
In definitiva, per il Cnf le censure non appaiono manifestamente infondate alla luce del fatto che l’indipendenza della difesa è tutelata dall’art. 24 della Costituzione; la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.) è garantita solo se non lede utilità sociale, libertà e dignità umana; la professione forense deve svolgersi in piena autonomia e in un contesto di concorrenza corretta; la presenza di soci di puro capitale nelle società tra avvocati può mettere a rischio tali principi, incidendo su indipendenza e concorrenza, anche se vi siano vincoli normativi o statutari. Pertanto, la legittimità costituzionale dell’art. 4-bis della L. 247/2012 (che consente soci di capitale), introdotto dalla L. 124/2017, deve essere verificata.



