Spese di giustizia: illegittima la norma che non prevede gli anticipi al curatore se l'iter della giacenza si è concluso per incapienza
Accolta la richiesta del tribunale di Trieste per contrarietà all'articolo 3 della Costituzione
Illegittimo l’articolo 148, comma 3, del Dpr 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui non prevede tra le «spese anticipate dall’erario» l’onorario del curatore con riguardo al caso in cui la procedura di giacenza si sia conclusa senza accettazione successiva e con incapienza del patrimonio ereditario. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza 30 aprile 2021 n.83 redatta dal giudice Petitti.
La richiesta del tribunale di Trieste
Con ordinanza del 16 gennaio 2020 il Tribunale di Trieste aveva sollevato il caso. Per i giudici di merito si legge nella decisione, infatti, sarebbe irragionevole che il curatore possa percepire il compenso quando vi è un erede accettante o quando l’eredità devolutasi allo Stato risulti capiente, e non anche quando la procedura si sia conclusa senza accettazione ereditaria e con asse insufficiente, «pur essendo questo un esito che non dipende da fatto del curatore». Senza considerare, poi, che si sarebbe verificata «una ingiustificata disparità di trattamento rispetto al caso nel quale il curatore sia stato nominato su istanza di un soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato, ipotesi nella quale, pur se non vi è stata accettazione dell’eredità e questa è risultata passiva, l’onorario del curatore è anticipato dall’erario».
Le motivazioni dei giudici della Consulta
Per i giudici costituzionali la questione non è fondata alla luce degli articoli 35 e 36 della Costituzione, ma in riferimento all’articolo 3 della Carta fondamentale. Secondo la Consulta infatti «nella fattispecie oggetto della questione in scrutinio il diritto al compenso, poiché non assistito dal meccanismo dell’anticipazione erariale, resta privo di effettività. Trattandosi, infatti, di eredità giacente attivata d’ufficio, non accettata dal chiamato e rivelatasi incapiente, l’onorario del curatore non può essere imputato ad alcuno». Quando la giacenza attivata d’ufficio si conclude con la devoluzione allo Stato di un’eredità incapiente - prosegue la decisione - l’anticipazione erariale dell’onorario corrisponde all’esigenza di garantire l’effettività del diritto al compenso spettante al curatore al pari di ogni altro ausiliario del giudice (in disparte se possa predicarsene la qualità di «ausiliare della giustizia», riferita al curatore fallimentare dalla sentenza n. 174 del 2006); l’impegno erariale riflette, d’altro canto, l’interesse pubblico all’ordinato svolgimento della vicenda successoria, che trascende l’interesse patrimoniale dello Stato-erede e costituisce la ratio stessa della nomina officiosa del curatore dell’eredità giacente.
Nell’ipotesi data, quindi, l’omessa previsione dell’anticipazione erariale determina un’irragionevole disparità di trattamento nei confronti del curatore dell’eredità giacente ed evidenzia anche un’irragionevolezza intrinseca della norma in rapporto alla sua stessa finalità: tutto ciò integra una lesione del parametro di cui all’articolo 3 della Costituzione.