Civile

Successioni: le quote dei fondi di investimento concorrono all'imponibile per il calcolo dell'asse ereditario

Per l'ordinanza n. 22181 del 14 ottobre queste tipologie di asset non rientrano nella nozione di denaro

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di Luitgard Spögler e Carmine Elio Ascione

Le quote dei fondi investimento non rientrano nella nozione di "denaro, gioielli e mobilia" rilevante ai fini dell'applicazione della presunzione dell'esistenza di altri beni da includere nell'attivo ereditario e della conseguente applicazione, ex lege, della maggiorazione del 10% del valore globale netto imponibile dell'asse ereditario (articolo 9, comma 2, del Dlgs n. 346 del 1999, recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni).Pertanto, anche le quote di fondi comuni concorrono, come gli altri beni dell'attivo ereditario, nella determinazione della base di calcolo dell'asse ereditario, sulla quale si applica la maggiorazione del 10 per cento. I predetti princìpi sono stati affermati dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 22181 del 4 febbraio 2020, depositata il 14 ottobre 2020.

La vicenda in questione
Il contenzioso nasceva dalla contestazione da parte di un contribuente in merito all'applicazione, da parte del competente Ufficio dell'Agenzia delle Entrate, della maggiorazione del 10% "avendo egli già dichiarato un valore di beni mobili superiore a quello presumibile". Pertanto, ad avviso del contribuente, la componente di "denaro gioielli e mobilia" dell'asse ereditario non poteva essere presunta e non poteva formare oggetto di applicazione della maggiorazione del 10%.

Le motivazioni della Suprema corte
Sulla scorta di precedenti propri orientamenti, la Suprema corte ha confermato che la previsione relativa alla maggiorazione del 10% costituisce una norma speciale, riferita a specifici beni, in ragione della loro "connaturata facilità di occultamento degli stessi (si veda Cassazione n.8345 del 2006 e n. 12935 del 2013)" e, pertanto, secondo la Corte, "in assenza di inventario se ne presume l'esistenza e la consistenza, in termini d'incremento dell'imponibile in misura fissa". La Corte evidenzia, inoltre, che per i beni, per i quali opera la presunzione, a differenza che per le altre componenti del compendio, non sono previsti criteri per la determinazione della relativa base imponibile.

E' indubbio che le citate caratteristiche (agevole occultamento e assenza di criteri di valutazione) non ricorrono per le quote di partecipazione in fondi di investimento, le quali, al pari di altri titoli (azioni, obbligazioni), sono agevolmente tracciabili (ad esempio, in quanto parte di un conto titoli aperto presso una banca o di un portafoglio affidato in gestione a una banca, SIM o società di gestione del risparmio) e valutabili in base al criterio indicato all'art. 16, comma 1, lettera c) del Dlgs n. 346/1999 (valore risultante da pubblicazioni fatte o prospetti redatti a norma di legge o regolamento).

L'orientamento in commento della Corte di Cassazione non si sofferma invece sul significato del concetto di "denaro" ai fini dell'imposta di successione e donazione e lascia dunque aperta la questione se per tale si intenda solo il denaro contante (cash) ovvero ogni forma di "liquidità", quali i depositi bancari (conti correnti) e le forme moderne di moneta, quali la moneta elettronica (il cosiddetto "borsellino elettronico") e le criptovalute (la più nota delle quale è il bitcoin) nonché.

Per quanto riguarda i conti bancari, la Corte di cassazione, prima con la sentenza del 15 dicembre 2003, n. 19168 e poi con la sentenza del 14 aprile 2011, n. 8198 ha chiarito che «il denaro di pertinenza del defunto depositato su un conto corrente costituisce separato oggetto di tassazione ai fini della imposta sulle successioni» - e pertanto non è compreso nell'ambito della maggiorazione del 10%. - in quanto, ad avviso della Corte la componente oggetto di presunzione ricomprende soltanto il denaro sul quale il defunto esercita un diritto di proprietà e non anche quello che ha formato oggetto di un deposito in conto corrente bancario «atteso che in tal caso la proprietà del denaro appartiene alla banca ed il cliente è titolare di un semplice diritto di credito.»

Di fatto, quindi, la Corte di cassazione lega il concetto di "denaro" a quello di "proprietà" facendo intendere che, l'articolo 9 del Dlgs n. 346/1999 possa riferirsi solo al denaro contante di proprietà del defunto o comunque al denaro non immesso nel circuito bancario.

Dello stesso tenore, le considerazioni di una parte della dottrina (cfr. Nicola D'Amati – Commento al testo unico delle imposte sulle successioni e donazioni – 1996), secondo cui, «esso (ndr. il denaro depositato presso istituti di credito), infatti, nel momento in cui diviene oggetto di un contratto di deposito tra la banca depositaria ed il depositante, perde il carattere di denaro contate esistente presso il de cuius per acquistare la natura di credito, autonomamente soggetto a tassazione.»

Peraltro, a sostegno di quanto sopra, e quindi dell'ipotesi secondo cui il citato articolo 9 con l'espressione "denaro" si faccia riferimento al denaro contante di proprietà del defunto, va considerato che l'articolo 11 dello stesso Dgs n. 346/1999 stabilisce un'ulteriore e diversa presunzione per (i) i beni mobili ed i titoli al portatore, compresi quelli contenuti in cassette di sicurezza, depositati a nome del defunto e di altre persone, (ii) azioni e altri titoli cointestati, e (iii) i crediti di pertinenza del defunto e di altre persone, compresi quelli derivanti da depositi bancari e da conti correnti bancari e postali cointestati.

Le richiamate considerazioni relativa ai conti correnti bancari potrebbero essere estese anche alla moneta elettronica, considerato che il titolare della moneta vanta un diritto di credito nei confronti dell'emittente (istituto di moneta elettronica, istituto di pagamento, banca) e può richiedere in ogni momento rimborso dell'importo non utilizzato, "caricato" sul dispositivo elettronico (ad esempio, carta prepagata).

Per quanto concerne le altre forme di moneta virtuale (le criptovalute), l'Amministrazione finanziaria si è espressa i fini delle imposte dirette, con interpello del 9 febbraio 2018, n. 903-47/2018, chiarendo che «limitando l'indagine al caso prospettato, ovvero alla tassazione, ai fini delle imposte sul reddito, delle persone fisiche che detengono bitcoin (o altre valute "virtuali") al di fuori dell'attività d'impresa, si ritiene che alle operazioni di conversione di "valuta virtuale" con una valuta avente corso legale si applichino i principi generali che regolano le operazioni relative alle valute tradizionali.»

E' invece assente una posizione ufficiale dell'Amministrazione finanziaria in merito al trattamento, ai fini dell'imposta sulle successioni e donazioni, di dette forme di moneta virtuale.

Pertanto, resta dubbia la possibilità di equiparare le criptovalute – che non sono di agevole tracciabilità, in assenza di una regolamentazione e di forme di vigilanza coordinate sui relativi soggetti "emittenti" - al "denaro" da includere, in base alla prevista presunzione, insieme ai gioielli e mobilia, nell'attivo ereditario e parte della maggiorazione del 10%.



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