Società

Vizi della delibera assembleare e carenza di legittimazione del socio sequestrato a impugnare

In presenza di un sequestro preventivo penale di azioni, deve escludersi la legittimazione del socio sequestrato ad impugnare la delibera assembleare per vizi di annullabilità in via concorrente rispetto a quella del custode giudiziario

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di Antonio Martini, Alessandro Botti, Ilaria Canepa e Arianna Trentino*

Con sentenza n. 5700 dell’11 settembre 2023, la Sezione Impresa della Corte di Appello di Roma, ha ritenuto che, in presenza di un sequestro preventivo penale di azioni, deve escludersi la legittimazione del socio sequestrato ad impugnare la delibera assembleare per vizi di annullabilità in via concorrente rispetto a quella del custode giudiziario. Solo a quest’ultimo, infatti, spetta l’esercizio del diritto di voto al quale si collega inscindibilmente la legittimazione all’impugnativa delle deliberazioni assembleari, venendo altrimenti sacrificate le esigenze di conservazione e di amministrazione delle azioni sottese alla sua nomina.

La vicenda origina dalla domanda formulata da un socio di s.p.a., il quale adiva il Tribunale di Roma per ottenere la declaratoria di invalidità di una delibera assembleare con cui era stata rimossa la condizione sospensiva dell’efficacia della precedente deliberazione di aumento di capitale, vale a dire l’omologazione da parte del Giudice fallimentare dell’accordo di ristrutturazione, nonché la proroga del termine per la sottoscrizione dell’aumento di capitale già deliberato. In particolare, il socio lamentava che la delibera sarebbe stata adottata con il voto di un soggetto estraneo alla compagine con conseguente nullità o inesistenza della delibera medesima. La società convenuta, costituitasi in giudizio, eccepiva la carenza di legittimazione dell’attore ad impugnare la delibera.

Il Tribunale di Roma, rilevato che le azioni di proprietà del socio impugnante erano state sottoposte, prima dell’assunzione della deliberazione, a sequestro preventivo penale e che pertanto il diritto ad impugnare le delibere assembleari per far valere la loro annullabilità sarebbe spettato esclusivamente al custode giudiziario, rigettava le domande attoree.

Avverso la sentenza di primo grado, l’attore proponeva appello censurando la decisione impugnata in relazione alla parte in cui non aveva qualificato i vizi dedotti come di inesistenza o nullità e aveva negato la legittimazione dello stesso a impugnare la delibera. La Corte di Appello di Roma, nel decidere sull’impugnazione, ha esaminato i singoli vizi che possono affliggere una delibera assembleare, soffermandosi poi sulla legittimazione ad impugnare in presenza di un sequestro di azioni.

Con riguardo ai vizi della deliberazione, il Giudice di secondo grado ha sottolineato che nel diritto societario la regola generale è quella dell’annullabilità, mentre la categoria della nullità ha carattere residuale, essendo limitata alle ipotesi di contrasto del contenuto di una deliberazione con norme preposte a tutela di interessi generali. Di contro, quando il contrasto concerne norme volte alla tutela di interessi dei singoli soci o gruppi di essi si rientra nella fattispecie dell’annullabilità della deliberazione. La ratio sottesa alla disciplina è quella garantire stabilità e certezza all’attività sociale a beneficio della società stessa e dei terzi.

Ad avviso della giurisprudenza di legittimità, peraltro, si ha inesistenza della deliberazione assembleare nei casi in cui l’atto impugnato non sia qualificabile come deliberazione per non essere anche solo astrattamente imputabile alla società (come nel caso della delibera adottata esclusivamente da un soggetto privo della qualità di socio) o quando, pur sussistendo un atto qualificabile come tale, esso registri uno scostamento dal modello legale tanto marcato da non permetterne la riconduzione alla categoria stessa di deliberazione assembleare.

Se ne ricava, a detta della Corte, che non si versa in ipotesi di inesistenza in caso di delibera proveniente da assemblea partecipata anche da uno solo dei soci o di delibera adottata con voto determinante di soggetti non legittimati al voto, vale a dire quando la decisione sia esteriormente riconducibile all’organo decisionale societario e ascrivibile al genus della delibera assembleare, per la presenza di almeno uno degli elementi essenziali all’identificazione della fattispecie.

Nel caso in esame, i vizi denunciati ineriscono al quorum deliberativo e pertanto devono essere ricondotti alla categoria dell’annullabilità.

Per quanto concerne la legittimazione ad impugnare la deliberazione, in presenza di un sequestro, l’art. 2352, co. 6, c.c., dispone che, in ipotesi di titoli azionari, e salva diversa statuizione del provvedimento del giudice, “i diritti amministrativi diversi” da quelli previsti dai precedenti commi del citato articolo, tra cui il diritto a impugnare le delibere assembleari, spettano al custode giudiziario.

Sul punto, la Corte ha osservato che tale prerogativa rientra fra i compiti di “conservazione” e di “amministrazione” del custode, al quale spetta l’esercizio del diritto di voto in assemblea. Da qui la legittimazione all’impugnativa delle deliberazioni.

È pertanto da escludere una legittimazione concorrente del socio sequestrato in quanto l’esercizio dei diritti amministrativi diversi di cui all’art. 2352, co. 6, c.c. è strumentale allo svolgimento della funzione del custode. Non vi è dunque spazio per una contemporanea legittimazione del socio, la quale svuoterebbe di significato la stessa nomina del custode e sacrificherebbe le esigenze di conservazione e amministrazione delle azioni sottese alla sua nomina, quantomeno in presenza di vizi riconducibili all’annullabilità.

La legittimazione ad impugnare, tuttavia, viene eccezionalmente riconosciuta nel caso di perdita dello status di socio proprio a seguito della deliberazione contestata. Nel caso di specie, ad avviso della Corte, è però da escludersi che tale perdita sia conseguenza della deliberazione assunta dall’assemblea essendo piuttosto effetto della mancata sottoscrizione del capitale perduto e ricostituito. Il socio impugnante, infatti, aveva comunicato al custode giudiziario di non essere interessato a tale sottoscrizione.

A seguito della perdita della qualità di socio, per dichiarata volontà dello stesso, è venuto meno il suo potere di contestare la validità della delibera adottata dalla società, anche in considerazione dell’inidoneità dei relativi effetti a incidere su chi sia ormai estraneo alla compagine sociale. Viene fatto salvo il diritto dell’ex socio a conseguire il risarcimento del danno qualora la delibera sia dichiarata illecita. Tale domanda, nella specie, era stata introdotta tardivamente dall’impugnante e perciò ritenuta inammissibile dal Giudice di secondo grado.

Alla luce delle considerazioni esposte, la Corte di Appello di Roma ha rigettato l’appello e integralmente confermato la sentenza impugnata.

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*A cura dell’Avv. Antonio Martini, partner, avv. Alessandro Botti e Ilaria Canepa, dott.ssa Arianna Trentino – Studio legale e tributario CBA

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