Whistleblowing: riconosciuto il diritto al risarcimento del danno morale per il segnalante vittima di ritorsioni
Con la sentenza in commento (Tribunale di Bergamo, sent. n. 951/2025) per la prima volta la giustizia italiana afferma che segnalare un illecito significa difendere la dignità dei lavoratori e la legalità stessa dei luoghi di lavoro
Dall’anno 2012 (che ha introdotto l’art. 54-bis nel D.lgs. 165/2001) si sono susseguiti una serie di interventi normativi – da ultimo il D.lgs. 24/2023 – volti a introdurre e rafforzare la tutela del c.d. whistleblower (i.e. colui che segnala un illecito verificatosi nel contesto lavorativo) all’interno dei contesti organizzativi aziendali. Tuttavia, tali provvedimenti si sono tradotti in concreti strumenti di tutela solo in rare e sporadiche occasioni, senza mai prevedere – sino ad oggi – la concreta possibilità, per la vittima delle ritorsioni, di ottenere un ristoro del danno a prescindere da altre forme di tutela espressamente previste dalla legge (tra cui, per esempio, la nullità degli atti adottati in ritorsione alla segnalazione).
In presenza di tale contesto normativo, dunque, il Tribunale di Bergamo, con la sentenza n. 951 del 6 novembre 2025, rappresenta un passaggio fondamentale nel garantire una tutela risarcitoria effettiva ed immediata in favore della vittima di ritorsioni a causa di una segnalazione whistleblowing, riconoscendo il diritto al risarcimento del danno morale in favore del segnalante.
La vicenda oggetto del giudizio
Nel caso esaminato dal Tribunale di Bergamo, una lavoratrice, dall’anno 2019, ha iniziato a subire una serie di intimidazioni, minacce, aggressioni verbali, condotte di demansionamento e – da ultimo – un’aggressione fisica da parte di colleghi e del superiore gerarchico a seguito dell’illegittima rivelazione del suo nominativo quale segnalante di condotte illecite verificatesi all’interno del Consorzio di Polizia Locale presso il quale era addetta.
In particolare, dagli anni 2018 e 2019, la lavoratrice aveva riscontrato una serie di irregolarità nell’ambito del proprio contesto lavorativo, quali: (i) erogazione dei buoni pasto, dell’indennità di turno e dei permessi studio a soggetti che non ne avevano diritto; (ii) scorretta valutazione delle performance, effettuata sulla base di criteri non oggettivi; (iii) irregolare pagamento dei premi di produzione; e (iv) illecita erogazione di proventi.
Tali irregolarità erano state, dapprima, segnalate all’ente stesso di appartenenza della lavoratrice, poi, all’Autorità Nazionale Anticorruzione (“ANAC”) e, da ultimo, alla Guardia di Finanza.
A seguito di tali segnalazioni, l’identità della lavoratrice – contrariamente al dovere di segretezza e riservatezza ex lege previsto – era stata rivelata e, in ragione di ciò, i suoi colleghi e il suo superiore avevano iniziato a porre in essere condotte ritorsive nei suoi confronti, ritorsioni che erano state prontamente segnalate da quest’ultima all’ANAC, come previsto – all’epoca dei fatti – dall’art. 54-bis D.lgs. 165/2001.
Le ritorsioni sono iniziate nell’anno 2019 e l’intensità delle stesse è incrementata nel corso degli anni successivi: da minacce, intimidazioni e illegittimi procedimenti disciplinari a totale isolamento, demansionamento, bassa valutazione della performance e aggressione fisica.
Tutele applicabili ratione temporis
All’epoca dei fatti di causa, era in vigore l’art. 54-bis D.lgs. 165/2001, che – al pari del D.lgs. 24/2023 ad oggi vigente – prevedeva le seguenti tutele in favore del c.d. whistleblower in caso di ritorsioni subite a seguito e in ragione della segnalazione:
• nullità di tutti gli atti ritorsivi posti in essere nei confronti del segnalante;
• inversione dell’onere della prova, con onere a carico del datore di lavoro di provare la giustificatezza e la legittimità degli atti posti in essere; e
• presunzione della sussistenza di un danno morale derivante dalle condotte vessatorie e ritorsive subite dal segnalante.
La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, in applicazione degli strumenti di tutela anzidetti di cui al (previgente) art. 54-bis D.lgs. 165/2001, il Tribunale di Bergamo ha dichiarato la nullità, inter alia, dei procedimenti disciplinari avviati nei confronti della lavoratrice e della valutazione della performance fatta dal suo superiore gerarchico, in quanto – in applicazione dell’inversione dell’onere della prova – l’ente di appartenenza della lavoratrice non era stato in grado di comprovare la giustificatezza, proporzionalità, razionalità e legittimità di tali atti, che, dunque, dovevano considerarsi ritorsivi.
Inoltre, con riferimento alle aggressioni verbali e fisiche nonché alle minacce e all’isolamento, il Tribunale di Bergamo ha riconosciuto la configurabilità di condotte di mobbing nei confronti della lavoratrice, stanti gli atteggiamenti ostili, conflittuali, prevaricatori e persecutori posti in essere da colleghi e dal superiore gerarchico nei confronti della whistleblower, conducendo quest’ultima a una mortificazione morale ed emarginazione, con lesione del suo equilibrio psico-fisico.
Richiamando il consolidato orientamento della giurisprudenza (da ultimo, Cass. civ. 2692/2023), l’ente di appartenenza della lavoratrice è stato ritenuto responsabile, ex art. 2087 c.c., dell’anzidetto mobbing. Infatti, il Tribunale di Bergamo ha ribadito e confermato che è configurabile la violazione dell’art. 2087 c.c. nell’ipotesi in cui il datore di lavoro consenta, anche “solo” colposamente, il mantenersi di un ambiente di lavoro nocivo e stressogeno, non adottando alcuna misura preventiva, come avvenuto nel caso oggetto della pronuncia in commento.
Il Consorzio di Polizia Locale aveva, infatti, avallato tale clima di “terrore”, con ciò dovendosi ritenere responsabile dei danni morali subiti dalla whistleblower.
In applicazione della presunzione circa la sussistenza dei danni morali, il Tribunale di Bergamo ha ritenuto essere stata raggiunta la prova dell’intensa sofferenza soggettiva patita dalla segnalante, la quale – in conseguenza alle condotte ritorsive verificatesi – aveva provato, per quasi tre anni, paura, disperazione, disistima di sé e vergogna. In particolare, nella pronuncia si afferma che tale danno morale possa essere validamente dimostrato anche tramite il ricorso alla prova presuntiva secondo l’id quod plerumque accidit, essendo evidentemente emerso, nel corso del giudizio, il profondo senso di malessere, emarginazione e umiliazione patito dalla lavoratrice.
In conclusione, dunque, disponendo un risarcimento pari a € 25.000 (quantificato, ex art. 1226 c.c., in via equitativa e in una somma pari a circa il 20% della retribuzione mensile percepita dalla lavoratrice, moltiplicata per 3 anni), il Tribunale di Bergamo ha affermato che il danno morale subito dal segnalante vittima di ritorsioni può essere provato anche attraverso presunzioni, sancendo così una tutela effettiva e concreta della dignità del whistleblower.
Conclusioni
La sentenza in commento rappresenta una svolta storica e dirompente nella tutela dei whistleblower: per la prima volta la giustizia italiananon si limita a riconoscere il diritto alla protezione contro le ritorsioni, ma afferma con forza che segnalare un illecito significa difendere la dignità dei lavoratori e la legalità stessa dei luoghi di lavoro. È un dictum che va oltre il singolo caso oggetto della pronuncia, perché sancisce un principio universale: chi ha il coraggio di denunciare comportamenti scorretti non deve più essere isolato o punito, bensì valorizzato come “custode” della trasparenza e della giustizia.
In altri termini, con tale pronuncia, l’ordinamento giuridico italiano ha affermato in modo inequivoco che la tutela della dignità del lavoratore costituisce un principio di rango costituzionale, insuscettibile di deroghe o compressioni, che il rispetto della legalità nei rapporti di lavoro rappresenta un obbligo inderogabile per il datore e che l’esercizio del diritto di segnalazione di condotte illecite o irregolari deve essere garantito quale strumento essenziale di salvaguardia dell’integrità dell’ambiente lavorativo e di protezione dei diritti fondamentali.
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*Avv. ti Gaspare Roma, Ilaria Uletto - Studio De Berti Jacchia Franchini Forlani
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