Civile

Le conseguenze pratiche ed economiche

di Marco Rodolfi

Il Tribunale di Milano, dunque, dopo le decisioni assunte qualche tempo fa, torna a liquidare i danni sotto forma di rendita in modo tuttavia differente rispetto a quanto fatto a suo tempo.

Le decisioni precedenti - Nelle decisioni precedenti, infatti, il Tribunale di Milano (sempre la prima sezione civile e sempre in tema di responsabilità sanitaria) aveva deciso di liquidare sotto forma di rendita il solo danno patrimoniale futuro, sia da lucro cessante che da spese di assistenza (vedi Tribunale di Milano 27 gennaio 2015, decisione confermata dalla Corte d'appello di Milano 17 gennaio 2017 n. 165, Tribunale di Milano 27 aprile 2017 n. 4681 e Tribunale di Milano 27 aprile 2017 n. 4690).
Così avevano fatto anche gli altri (invero pochissimi) giudici degli altri Fori che si erano cimentati in questa particolare forma di liquidazione del danno (vedi Tribunale di Trieste 5 aprile 2012; Tribunale di Lodi 9 maggio 2013 n. 323; Tribunale di Bergamo 23 febbraio 2016 n. 697 e, da ultimo, Tribunale di Palermo 5 luglio 2017 n. 3612).
A quanto ci consta, è stato reso pubblico sino a oggi un unico precedente che ha previsto la liquidazione sotto forma di rendita anche del danno biologico (Tribunale di Genova 15 giugno 2005).
Orbene, la decisione del Tribunale di Milano, formalmente è corretta, nel senso che l'articolo 2057 del Cc prevede che: «quando il danno alle persone ha carattere permanente, la liquidazione può essere fatta dal Giudice, tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno, sotto forma di una rendita vitalizia. In tal caso il giudice dispone le opportune cautele».
Il Legislatore, pertanto, ha previsto che il Giudice possa procedere a una liquidazione sotto forma di rendita vitalizia «quando il danno alle persone ha carattere permanente». In questa definizione rientra certamente anche il c.d. danno non patrimoniale biologico.
Il risarcimento sotto forma di rendita, invece, non dovrebbe essere consentito nel caso di lesioni che abbiano determinato soltanto una invalidità temporanea (cfr anche M. Rossetti in "Il danno alla salute", Ed. Cedam, pagine 707 e seguenti).
Il Tribunale, poi, aveva il potere di disporre tale liquidazione, come ha fatto, anche senza istanza di parte.
Il codice civile ha previsto la liquidazione della rendita come una facoltà del Giudice e non come un diritto della parte. In sintesi, abbia o meno la parte chiesto una liquidazione sotto forma di rendita, è sempre facoltà del giudice provvedere d'ufficio a tale tipo di liquidazione.
Gli unici presupposti di cui deve tener conto il magistrato, quando decide di procedere a liquidare il danno sotto forma di rendita sono, per l'appunto: «le condizioni delle parti» e la «natura del danno».
Sulla «natura del danno» deve trattarsi, come abbiamo visto, sicuramente di danni di carattere permanente, che preferibilmente dovrebbero essere peraltro di rilevante entità, in quanto la rendita in caso di lesioni modeste francamente non avrebbe alcuna utilità per il danneggiato.
Sulle «condizioni delle parti», la dottrina (si veda sempre M. Rossetti in "Il danno alla salute", Ed Cedam, 707 e seguenti, ma anche L. Vismara in "Danni conseguenti alla responsabilità professionale", Ed. Giuffrè, pagine 259 e seguenti) sostiene che tale richiamo andrebbe inteso: «nel senso che la scelta tra le due forme di risarcimento va compiuta in base a ciò che risulta concretamente più conveniente rispetto alle parti del rapporto, e non in base ad una valutazione di elementi estrinseci».
In altre parole, se ci si trova di fronte a un danneggiato incapace, anche naturale, prodigo, o descolarizzato, o socialmente disadattato, oppure quando il danneggiante disponga di un patrimonio o di una struttura in grado di sorreggere il peso di una rendita vitalizia, il Giudice potrebbe decidere di optare per una liquidazione sotto forma di rendita che potrebbe essere più utile alle parti coinvolte.
Nel caso di specie, il magistrato ha motivato la sua decisione di adottare la liquidazione sotto forma di rendita sulla scorta in verità della «oggettiva gravità della situazione», del «carattere permanente del danno» e della «impossibilità di stabilire, in modo oggettivo, una durata presumibile della vita della danneggiata (ormai già in età molto avanzata)».
In pratica, in questo caso, il Tribunale ha tenuto conto della «natura del danno» e della «particolare condizione della danneggiata» (si veda pag. 15 della motivazione).
Bene ha fatto, poi, il magistrato sia a prevedere una rivalutazione annuale della rendita, per evitare che il decorso del tempo possa finire per rendere irrisorio il risarcimento, che a «disporre le opportune cautele», come previsto dall'articolo 2057 del codice civile.
In particolare, nel caso di specie, la struttura convenuta è stata condannata a «stipulare una polizza sulla vita a premio unico, a vita intera ed in forma di rendita» a beneficio della paziente.
Il futuro della liquidazione di carattere permanente? - Potrebbe essere questo dunque il futuro della liquidazione del danno alla persona di carattere permanente?
A nostro sommesso avviso, questa modalità potrebbe essere utilizzata soprattutto per i danni patrimoniali futuri (si pensi al lucro cessante e alle spese di assistenza), in quanto potrebbe essere utile per entrambe le parti (danneggiati e danneggiante). Sul punto rimandiamo anche alle conclusioni (seppure ancora interlocutorie) del Gruppo 1 dell'Osservatorio per la Giustizia civile di Milano dedicato proprio alla rendita.
Se il danneggiato, ad esempio, ha necessità di spendere una determinata cifra ogni anno per le spese di assistenza, il danneggiante provvederà sotto forma di rendita.
Soluzione che appare equa e utile per entrambe le parti.
Questo del resto è anche il suggerimento dato dalla Suprema corte, in uno dei rarissimi casi in cui si è pronunciata in proposito: «Il giudice del rinvio, a seguito dello accoglimento di tale motivo di censura, potrà applicare i criteri suggeriti dallo art. 2057 del codice civile, là dove è detto che quando il danno alla persona ha carattere permanente, la liquidazione può essere fatta dal giudice, tenendo conto delle condizioni delle parti e della natura del danno, per una eventuale liquidazione sotto rendita vitalizia. La norma è notoriamente scarsamente applicata dai giudici, posto che le parti danneggiate preferiscono una liquidazione capitalizzata ai valori attuali, ma la norma offre un importante criterio di valutazione per il lucro cessante, consentendo al giudice, di ufficio, di valutare la particolare condizione della parte danneggiata e la natura del danno, con tutte le sue conseguenze» (Cassazione 18 novembre 2005 n. 24451).

Più difficile, crediamo, è il discorso da fare relativamente al danno non patrimoniale che, ricordiamolo, include anche la sofferenza morale e quelle altre componenti diverse dal danno biologico.
Lo stesso Osservatorio per la giustizia civile di Milano, nell'elaborare le tabelle del danno da premorienza ha ricordato che: «il pregiudizio sofferto nel primo e nel secondo anno» hanno una intensità maggiore rispetto a quello sofferto dal terzo anno in avanti sicché i valori risarcitori relativi a quell'arco temporale devono essere più elevati (si è ritenuto equo in siffatta ipotesi un incremento del risarcimento medio annuo nella misura del 100% per il primo anno e del 50% per il secondo).
Tali considerazioni verrebbero meno nel liquidare il danno non patrimoniale sotto forma di una rendita annuale sempre uguale (fatta salva la rivalutazione).
Questo per non dire che, secondo parte della giurisprudenza della Suprema corte, il danno morale andrebbe liquidato immediatamente per l'intero perché tale voce risarcitoria viene acquisita direttamente al momento dell'illecito.
È evidente che una liquidazione sotto forma di rendita contrasterebbe con tali principi.

I problemi di natura pratica - Da ultimo ci sono problemi di natura pratica che, da sempre, hanno reso alquanto ardua la soluzione della rendita.
Per la parte danneggiante (ad esempio una compagnia di assicurazione), vi è il problema di come gestire questa modalità risarcitoria.
Tenere aperto il sinistro per anni? Come riservarlo (vedi articolo 27, comma sette, del Regolamento Isvap 4 marzo 2008 n. 16)? Come trovare il mezzo finanziario adatto per avere un prodotto che garantisca la rendita.


Nella decisione qui commentata si parla di condanna della struttura a stipulare una polizza vita.
Ma se la struttura non trova chi la stipula questa polizza?
Non esiste infatti un obbligo a contrarre (come ad esempio avviene nella RCAuto) e nessuna efficacia può avere una decisione come quella oggetto del nostro commento nei confronti di un'impresa di assicurazione del ramo vita estranea al giudizio.
Tutto questo per non parlare degli aspetti puramente economici.
Il rischio infatti per il danneggiante è quello di trovare un'impresa che richieda un premio unico di rilevante entità (comunque superiore all'importo risarcitorio prospettato in sentenza).
Si rammenta infatti che delle simulazioni relative alle decisioni prese in passato portavano a importi elevatissimi (per il caso deciso nella sentenza 27 gennaio 2015, ad esempio, un importo di circa 6 milioni di euro: vedi L. Vismara, in "Danni conseguenti alla responsabilità professionale", Ed. Giuffrè, pagine 259 e seguenti), in quanto i calcoli del premio verrebbero effettuati sulla base dell'aspettativa di un soggetto sano e non del soggetto macroleso oggetto della rendita (per cui non esistono i dati attuariali).
Anche per il danneggiato si pone il problema di non poter decidere come utilizzare subito la somma relativa al risarcimento, avendo altresì una possibile incertezza sulla solvibilità finale dell'assicuratore (chi garantisce il garante?).
Aggiungiamo che, trattandosi normalmente di vicende che coinvolgono macrolesi e quindi la presenza di Tutori o Amministratori di sostegno, vi sarà la necessità di avere sempre l'autorizzazione del Giudice tutelare per adottare la soluzione della rendita in luogo del versamento della somma in sorte capitale.
Ed è evidente che nella vicenda per cui è causa (donna di 80 anni con il 90% di postumi permanenti e con aspettativa di vita incerta), la soluzione adottata dal Tribunale, pur corretta come abbiamo visto sotto il profilo formale, sotto quello sostanziale non avvantaggia di certo la danneggiata.
Sembra ormai davvero tramontata e superata l'idea che il danneggiato possa decidere come meglio fare uso della somma che viene a lui corrisposta a titolo di risarcimento, come invece sosteneva tempo fa la Suprema corte: «In tema di risarcimento dei danni, una volta determinata l'entità della prestazione per equivalente idonea alla completa "restituito in integrum" del patrimonio del danneggiato, non è possibile subordinare la condanna al risarcimento alla condizione che il danneggiato utilizzi effettivamente la somma a lui assegnata dal giudice per eliminare la causa e le conseguenze del danno, poiché il debitore, ottenuta la completa reintegrazione del suo patrimonio, ben può disporre del corrispondente importo nel modo che crederà più opportuno, restando in ogni caso liberati gli obbligati» (Cassazione 26 febbraio 1979 n. 1264).

Da tutte queste, seppur brevi considerazioni, ne consegue comunque che, tuttora, le parti di un giudizio di risarcimento danni sono piuttosto restie ad adottare la soluzione della rendita, preferendo una composizione amichevole con il versamento di una somma in unica soluzione a titolo di sorte capitale.

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