Comunitario e Internazionale

La libera circolazione supera il riconoscimento delle qualifiche

No a oneri sproporzionati per chi chiede di esercitare una professione

di Marina Castellaneta

La libera circolazione dei professionisti e il diritto di stabilimento devono essere garantiti anche se la direttiva 2005/36 sul riconoscimento delle qualifiche professionali non è applicabile. Gli Stati membri, infatti, non possono imporre in modo automatico misure gravose su un cittadino Ue che non ha ancora ottenuto un titolo di formazione idoneo nello Stato in cui ha conseguito la laurea, ma devono effettuare un esame comparativo ed eventualmente stabilire misure proporzionali. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 3 marzo (C-634/20). A rivolgersi a Lussemburgo è stata la Corte suprema amministrativa finlandese. Una cittadina finlandese aveva studiato nel Regno Unito e conseguito il diploma attestante una formazione medica di base che le aveva permesso di essere iscritta provvisoriamente nell’Ordine dei medici. La donna aveva chiesto alle autorità finlandesi di riconoscere il diritto a esercitare in Finlandia ma, in assenza del certificato di svolgimento della pratica necessario nel Regno Unito, le autorità di Helsinki avevano subordinato l’esercizio della professione o a un triennio di tirocinio in Finlandia, con successivo riconoscimento nel Regno Unito o a una formazione specifica di medicina generale in Finlandia.

Di qui una lunga controversia, arrivata alla Corte Ue che ha precisato gli obblighi degli Stati sul riconoscimento delle qualifiche anche quando la direttiva non è applicabile. È evidente – scrive la Corte – che la donna non aveva il certificato richiesto dalla direttiva 2005/36 e, quindi, non era abilitata al pieno esercizio della professione di medico nel Regno Unito. Pertanto, la donna non poteva avvalersi del riconoscimento automatico proprio perché non aveva una formazione che la qualificava nello Stato membro di origine (Regno Unito) ad esercitare la professione. Questo, però, non può impedire alla donna di avvalersi del diritto alla libera circolazione dei lavoratori e del diritto di stabilimento fissati nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, tanto più che le direttive «non hanno come obiettivo e non possono avere come effetto quello di rendere più difficile il riconoscimento di diplomi, certificati o altri titoli».

Un cittadino Ue che chiede di esercitare una professione il cui accesso è subordinato a una qualifica professionale, o a periodi di assistenza pratica, non potrà essere sottoposto a oneri sproporzionati. Le autorità nazionali dovranno procedere a una valutazione comparativa per accertare obiettivamente se le competenze acquisite nello Stato membro di origine siano equipollenti a quelle del Paese membro ospitante e, se così non è, a prevedere misure proporzionali rispetto all’obiettivo conseguito.

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