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Preliminare di vendita, perché è necessario fare i conti con il Codice del Consumo

Agli artt. 33 e ss. il Codice del Consumo indica come vessatorie tutte le clausole che "malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto" e, quindi, potrebbero essere nulle anche se approvate specificamente ai sensi dell'art. 1341 c.c

di Claudia Utile*

Negli ultimi anni, soprattutto a Milano, si registra un crescente interesse nell'investimento in immobili residenziali, destinati, quindi, a consumatori. Le ragioni sono principalmente legate alle agevolazioni fiscali statali e alla crescente domanda.

Ma gli investitori-professionisti hanno "fatto i conti" anche con il Codice del Consumo?

L'investimento potrebbe rivelarsi meno fruttuoso di quanto previsto se non si conoscono le specifiche norme a favore del consumatore.

Il d.lgs n. 206 del 2005 (c.d. Codice del Consumo ), infatti, regola il contratto preliminare di vendita (ma anche il contratto di vendita) di un bene immobile concluso tra il consumatore e il professionista.

Di fronte a dubbi sull'applicazione del Codice del Consumo anche ai contratti aventi ad oggetto beni immobili, la Suprema Corte ha, più volte, precisato che ciò che rileva è la mera conclusione di un contratto tra un professionista - che stipuli nell'esercizio dell'attività imprenditoriale o di professionista intellettuale - e il consumatore (da ultimo Cass. Civ. n. 497 del 2021 ).

Ancora, si è chiarito che il consumatore è la persona fisica che, "pur svolgendo attività imprenditoriale o professionale, conclude un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di tale attività" (ex multis, Cass. Civ. n. 18863 del 2008 ).

Perché è necessario fare i conti con il Codice del Consumo?

Perché agli artt. 33 e ss., indica come vessatorie tutte le clausole che "malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto " e, quindi, potrebbero essere nulle anche se approvate specificamente ai sensi dell'art. 1341 c.c..

Si pensi, ad esempio, alla clausola con cui il consumatore rinuncia al diritto di esigere il doppio della caparra in caso di ritardo nella consegna dell'immobile contenuto nel contratto preliminare di vendita di immobile da costruire.

Il professionista che fa affidamento sulla validità di tale clausola semplicemente perché sottoscritta ex art. 1341 c.c., si potrebbe ritrovare a risarcire tutti i promissari acquirenti. L'investimento potrebbe risultare addirittura fallimentare se, inoltre, il contratto stipulato con l'appaltatore non contenga una penale per ritardo nei lavori (e, comunque, se tale penale fosse accettata dall'appaltatore, si dubita che il professionista troverebbe un adeguato ristoro).

Bisogna, tuttavia, precisare che l'art. 33 ("clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore") indica, al comma 2, la cd. "lista grigia", ovvero, una lista di clausole che si "presumono" vessatorie "fino a prova contraria".

L'elenco di cui all'art. 33, comma 2, è meramente indicativo. Pertanto, il giudice discrezionalmente potrebbe ritenere nulle clausole non contemplate nella lista grigia.

Tuttavia, l'art. 34 ("accertamento della vessatorietà della clausola"), comma 4, della legge in esame ritiene che "non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale".

Mentre il comma 5 del medesimo art. 34 precisa che il professionista ha l'onere di provare che le clausole del contratto "concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali" siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore.

In pratica, è il proprietario dell'immobile che predispone un modello di contratto. Pertanto, il professionista per vedersi dichiarata la validità della clausola ha l'onere di provare la specifica trattativa con il consumatore.

In sintesi, quindi, una clausola rientrante nella lista grigia potrebbe (in base alla valutazione discrezionale del giudice) non essere considerata vessatoria se il professionista prova che sia stata oggetto di trattativa individuale.

La trattativa individuale deve, tuttavia, riguardare ogni singola clausola del contratto e non genericamente il contratto e deve essere caratterizzata dai requisiti di serietà, effettività e individualità.

In altri termini, non è sufficiente per superare la presunzione di vessatorietà la prova che le singole clausole fossero state lette, capite e discusse e che si sia svolta una trattativa meramente formale.

"La disciplina posta dal Codice del consumo è infatti volta a garantire e tutelare il consumatore dalla unilaterale predisposizione e sostanziale imposizione del contenuto contrattuale da parte del professionista, quale possibile fonte di abuso, sostanziantesi nella preclusione per il consumatore della possibilità di esplicare la propria autonomia contrattuale, nella fondamentale espressione rappresentata dalla libertà di determinazione del contenuto del contratto" ( Cass. Civ. n. 6802 del 2010 ).

Infine, l'art. 36 ("nullità di protezione") indica, al comma 2, la cd "lista nera", ovvero, le clausole che si ritengono vessatorie "quantunque oggetto di trattativa" che "abbiano per oggetto o per effetto di:
a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un'omissione del professionista;
b) escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un'altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista;
c) prevedere l'adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto".


Tali clausole sono elencate anche nella lista grigia di cui all'art. 33, comma 2, lett. a), b) e l).

In dottrina si è discusso se tali clausole sarebbero sempre e comunque abusive o se, invece, si tratta di "presunzioni relative rafforzate" con possibilità per il professionista di dare le prova contraria.

A mio avviso, si deve ritenere sempre ammissibile per il professionista la prova della non vessatorietà della clausola (parallelamente, il giudice ha sempre l'onere di valutare se le clausole, quantunque, indicate nella lista nera determinano un significativo squilibrio tra le parti). Diversamente, si potrebbe ipotizzare un'eccessiva tutela del consumatore.

Si pensi al caso sopra riportato. Il consumatore spesso (che magari ha anche un parente/ amico notaio o avvocato con cui si è confrontato) accetta tale clausola a fronte di un prezzo d'acquisto inferiore rispetto ad un immobile già pronto.

In altri termini, una clausola, quantunque indicata nella lista nera, indipendentemente dalla trattativa individuale, non dovrebbe essere dichiarata nulla se il contratto – valutato nel suo complesso - non determina un "significativo squilibrio" tra le parti. Ciò anche a beneficio degli scambi commerciali.

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*A cura di Claudia Utile, Lawyer DLA Piper


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