Condominio, il punto della Cassazione su lavori urgenti, delibere e convocazioni
La Corte (ordinanze nn. 16351, 16397 e 16399 dei giorni scorsi) fissa con tre principi di diritto le regole sul rimborso dei lavori, l’impugnazione della delibera “sanante” e le modalità di convocazione dell’assemblea
Con tre diverse sentenze e altrettanti principi di diritto, la Corte di cassazione fa il punto in merito alla rimborsabilità dei lavori fatti autonomamente da un condomino per la conservazione dei beni comuni; alla impugnabilità della delibera che ne sostituisce una precedente già oggetto di un giudizio; infine, sui mezzi idonei per comunicare l’assemblea di condominio con la netta esclusione dell’utilizzo della posta elettronica ordinaria.
Lavori eseguiti da un solo condomino - Con l’ordinanza n. 16351/2025, la Seconda sezione civile rigetta il ricorso di un condomino che chiedeva oltre 60mila euro al condominio assumendo di avere dovuto compiere dei lavori urgenti alla copertura e all’impianto di smaltimento delle acque meteoriche “assai deteriorati”. In primo e secondo grado, il condomino aveva perso la causa in quanto, secondo i giudici di merito, avrebbe potuto porre in esecuzione il provvedimento di urgenza (ordinanza del 30/06/2011) che obbligava il condominio a rimediare alle gravi carenze manutentive; e anche perché le “percolazioni di acqua risalivano a tre anni addietro, ciò che faceva venire meno il carattere dell’urgenza e dell’assoluta indifferibilità della spesa ex art. 1134 c.c.”.
Proposto ricorso, la Suprema corte l’ha bocciato affermando che “nulla è dovuto in caso di mera trascuranza degli altri comproprietari, non trovando applicazione le norme in materia di comunione (art. 1110 c.c.)”. Se dunque l’assemblea, a fronte dell’urgenza dell’intervento, non vi provvede o non raggiunge la necessaria maggioranza, o se la deliberazione adottata non viene eseguita, il rimedio è dato dal ricorso all’autorità giudiziaria, e non dall’iniziativa individuale di uno o più condòmini che assumano la gestione delle parti condominiali degradate”.
La Suprema corte ha così affermato il seguente principio di diritto: “il condomino che, in mancanza di autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea, abbia anticipato le spese di conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso purché ne dimostri, ex art. 1134 c.c., l’urgenza, ossia che le opere, per evitare un possibile nocumento allo stesso condomino, a terzi od alla cosa comune, dovevano essere eseguite senza ritardo e senza possibilità di avvertire tempestivamente l’amministratore o gli altri condòmini”. “Nella fattispecie in esame, pertanto – conclude sul punto -, non è dovuto alcun rimborso al condomino ove la spesa di conservazione sia stata precedentemente ordinata dal giudice, con provvedimento d’urgenza, soggetto ad attuazione ai sensi dell’art. 669 duodecies c.p.c.”.
Impugnazione della delibera sanante - Con la seconda ordinanza (n. 16397/2025), la Cassazione affronta il caso dell’impugnazione da parte di un condomino della delibera di approvazione di “lavori di manutenzione ai balconi e alle facciate dell’edificio ed incarico alla ditta prescelta” a causa delle differenze rispetto alla precedente delibera votata. Il Tribunale di Ancona dichiarò improcedibile il ricorso per cessata materia del contendere, in quanto una successiva delibera assembleare aveva poi approvato i lavori, la contabilità e il riparto delle spese programmati con la delibera oggetto della causa. E la Corte d’appello ha confermato.
Proposto ricorso, la Cassazione ricorda che il condomino impugnante può ritenersi spogliato dell’interesse a opporsi all’iniziale delibera quando la nuova decisione dell’assemblea porta con sé una situazione di fatto o di diritto del tutto nuova e sostitutiva rispetto a quella posta a fondamento della sperimentata azione ex art. 1137 c.c., tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza da pronunciare.
La Suprema corte ha affermato il seguente principio di diritto: “Quando nel corso del giudizio di impugnazione di deliberazione condominiale, la delibera impugnata viene sostituita con altra adottata dall’assemblea avente identico contenuto, previa rimozione dell’iniziale causa di invalidità, e il giudice dichiara perciò cessata la materia del contendere, contro tale pronunzia la parte può dolersi in sede di gravame solo contestando l’esistenza del presupposto per emetterla o la regolamentazione delle spese di lite, risultandole invece precluso per difetto di interesse ogni altro motivo di censura, ed in particolare quelli attinenti al merito della causa, ovvero, nella specie, quelli attinenti ai profili di invalidità della medesima deliberazione”.
Convocazione dell’assemblea - Infine, la Corte (ordinanza n. 16399/2025) torna sul tema delle forme di convocazione dell’assemblea di condominio. Il caso qui era quello di un condomino che lamentava di non essere stato regolarmente convocato. Il condominio replicava di “aver inviato l’avviso via mail alla società all’indirizzo utilizzato nelle conversazioni con l’amministratore e al quale aveva chiesto di ricevere comunicazioni e documenti concernenti il Condominio”. Sia il tribunale che la Corte di appello avevano dato ragione al condominio sostenendo che avesse assolto ai suoi oneri, considerata la specifica indicazione ricevuta di utilizzare quel determinato indirizzo email per le comunicazioni relative all’immobile.
Per la Suprema corte invece il ricorso è fondato. L’art. 66, terzo comma, disp. att. c.c., dopo le modifiche operate dalla legge n. 220 del 2012, infatti stabilisce per l’esecuzione della preventiva convocazione di tutti i condomini di un edificio alla adunanza assembleare forme determinate: posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o consegna a mano. L’assemblea – prosegue la Corte - non può, allora, validamente deliberare, né l’amministratore può comunque disporre, che gli avvisi di convocazione delle future riunioni siano inoltrati mediante messaggio di posta elettronica ordinaria.
La comunicazione ai condomini dell’avviso di convocazione è atto recettizio e solo la posta elettronica certificata (e non la e-mail), consentendo di ritenere la stessa giunta all’indirizzo del destinatario nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione e di consegna del messaggio nella casella del destinatario, determina una presunzione di conoscenza dell’atto analoga a quella prevista, per le dichiarazioni negoziali, dall’art. 1335 c.c.. Nessun rilievo dunque riveste la comunicazione inoltrata dal condomino, circa l’utilizzabilità del proprio indirizzo di posta elettronica ordinaria da parte dell’amministratore, né l’esistenza di una eventuale prassi formatasi in tal senso.
Da qui l’enunciazione del seguente principio di diritto: “L’art. 66, terzo comma, disp. att. c.c. prescrive forme determinate per la comunicazione ai condomini dell’avviso di convocazione all’assemblea (posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o consegna a mano), dettando una disciplina inderogabile stabilita a tutela delle regole della collegialità e dunque degli interessi fondamentali del condominio, che devono essere soddisfatti uniformemente per tutti i partecipanti, con esclusione della validità di ogni diversa regolamentazione espressa dall’autonomia privata che contempli modalità alternative di trasmissione dell’avviso inidonee a documentarne la consegna all’indirizzo del destinatario, quale, nella specie, il messaggio di posta elettronica semplice”.
La Cassazione sposa dunque una applicazione rigorosa delle norme in materia di condominio stabilendo che nessuna scorciatoia è ammessa, nemmeno quando l’urgenza o la prassi sembrerebbero giustificarla.