Civile

Antenne telefoniche, no al taglio dei canoni concordati con i comuni

Il Tribunale di Padova, sentenza n. 1234/2025, ha respinto il ricorso di un primario Tower Operator che sosteneva di dover pagare un canone calmierato

di Francesco Machina Grifeo

Le limitazioni al canone di locazione stabilite dal Codice delle comunicazioni non si applicano alle antenne installate nel territorio comunale con contratti privatistici. Lo ha stabilito il Tribunale di Padova, con la sentenza n. 1234 depositata l’8 settembre 2025, respingendo l’opposizione di una società per azioni contro un decreto ingiuntivo in favore del comune veneto Ponte San Nicolò per il mancato pagamento dei canoni per una somma di oltre 200mila euro.

La società ricorrente riteneva di dover corrispondere un canone annuo di circa 800 euro, in luogo di quanto stabilito nei contratti sottoscritti con l’amministrazione locale. Il municipio chiedeva invece di “accertare e dichiarare che i contratti stipulati tra le parti indicati in fatto sono validi ed efficaci, nonché configurabili quali negozi di locazione privatistica” e conseguentemente confermare il decreto ingiuntivo.

Il Tribunale ha premesso che l’impianto, descritto come insistente su area qualificata “seminativo” e “seminativo arboreo”, risulta invece in una zona industriale di fabbricati privati destinata a servizi tecnologici. La decisione cita poi la sentenza della Corte d’Appello Venezia (n. 814/2025) secondo la quale il Canone Unico Patrimoniale (previsto dall’art. 1, co. 816, L. n. 160/2019), richiamato all’art. 54 del CCE, limita la disciplina speciale “ai soli impianti localizzati su beni demaniali o del patrimonio indisponibile”.
E allora, prosegue la sentenza, “l’attività svolta dalla conduttrice non può attribuire al terreno comunale oggetto di locazione una diversa qualificazione giuridica, in quanto la destinazione al pubblico servizio richiede che vi sia corrispondenza tra l’oggetto e le attribuzioni istituzionali dell’ente, situazione insussistente nella specie poiché il comune di Ponte San Nicolò non ha concesso il bene per l’esercizio indiretto di un proprio servizio pubblico”.

Inoltre, continua la II Sezione civile, le attività di ‘interesse generale’ (art. 3 co. 2 Dlgs. n. 259/2003) tra cui la telefonia, “non possono ritenersi equipollenti ad un servizio pubblico in quanto, per il loro utilizzo, i consumatori pagano delle tariffe non calmierate, ma soggette alla concorrenza di mercato, a società con scopo di lucro”.

Ragion per cui il Tribunale ha rigettato l’opposizione ed affermato “l’inapplicabilità dell’art. 93, comma 2, e dell’art. 88, comma 12, del D. Lgs. 1/8/2003 n. 259”, in quanto “le parti hanno liberamente concordato il canone di locazione” e “l’inadempimento al pagamento dei canoni è incontestato”.

In definitiva, per il Tribunale, la telefonia non può essere equiparata a un servizio pubblico, in quanto rientrante nei servizi erogati da società a scopo di lucro, con tariffe soggette a logiche di mercato e non calmierate.

Si tratta di una pronuncia importante perché riafferma un principio di certezza nei rapporti contrattuali e tutela le amministrazioni locali, che non possono vedersi imporre riduzioni arbitrarie dei canoni”, commenta l’avvocato Giovanni Ferasin (Studio Casa & Associati) che ha assistito il comune. “È un precedente di rilievo per i Comuni italiani – conclude -, chiamati sempre più spesso a confrontarsi, e non solo, con grandi operatori delle telecomunicazioni.

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