Cedolare secca: gli incrementi per le locazioni turistiche e le conseguenze per i proprietari
L’innalzamento dell’aliquota e la progressiva estensione del trattamento maggiorato, se confermati, rischiano di trasformare il regime semplificato in un sistema più oneroso e complesso, con possibili effetti distorsivi sul comportamento dei locatori e sulla dinamica del mercato delle locazioni turistiche
Il settore delle locazioni turistiche, o locazioni brevi, continua a essere al centro dell’attenzione del legislatore. Nato come fenomeno spontaneo dell’economia digitale e della condivisione, negli ultimi anni il comparto ha conosciuto una regolamentazione sempre più stringente, volta a garantire trasparenza, sicurezza e corretto adempimento degli obblighi fiscali.
Dopo le novità introdotte con la legge di bilancio 2024 — tra cui l’obbligo del Codice Identificativo Nazionale (CIN) per gli immobili destinati alle locazioni brevi, l’imposizione di dispositivi di sicurezza e un rafforzamento degli obblighi informativi per gli intermediari digitali — e a valle di diverse pronunce di tribunali amministrativi su aspetti chiave come il self check-in o i limiti imposti da alcuni Comuni – il Governo è tornato a intervenire. Questa volta l’attenzione si sposta sul piano fiscale, con l’annunciato aumento dell’aliquota della cedolare secca dal 21% al 26% per le locazioni turistiche sin a partire dal primo appartamento concesso in locazione.
Il regime della cosiddetta cedolare secca sugli affitti, introdotto dall’art. 3 del D.Lgs. n. 23 del 14 marzo 2011, costituisce un sistema opzionale di tassazione sostitutiva rispetto all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e alle relative addizionali regionale e comunale, nonché rispetto all’imposta di registro e all’imposta di bollo dovute sui contratti di locazione. Tale regime può essere scelto dai locatori persone fisiche che concedono in locazione unità immobiliari abitative al di fuori dell’esercizio di impresa, arte o professione, e consente di assoggettare i redditi derivanti dalla locazione a un’imposta unica e forfettaria, determinata in misura proporzionale sul canone di locazione pattuito.
Fin dalla sua introduzione, la aliquota ordinaria della cedolare secca è stata fissata nella misura del 21% per i contratti di locazione a canone libero ai sensi della legge n. 431/1998. Accanto a tale misura ordinaria, il legislatore ha previsto aliquote ridotte per specifiche tipologie contrattuali, in particolare per i contratti di locazione a canone concordato stipulati nei Comuni ad alta tensione abitativa o in quelli per i quali sia stato deliberato lo stato di emergenza abitativa. In tali ipotesi, l’aliquota della cedolare secca è stata progressivamente ridotta — inizialmente al 19%, poi al 15% e infine al 10% — al fine di incentivare la stipula di contratti calmierati e favorire l’accesso all’abitazione a canoni più sostenibili.
Con la Legge di Bilancio 2024 (legge 30 dicembre 2023, n. 213), il legislatore è intervenuto per la prima volta in modo significativo sul regime fiscale delle locazioni brevi, introducendo un incremento dell’aliquota della cedolare secca applicabile a tali redditi. In particolare, l’art. 1, comma 63, della citata legge ha modificato l’art. 4, comma 2, del D.L. n. 50/2017, innalzando dal 21% al 26% l’aliquota dell’imposta sostitutiva dovuta sui canoni derivanti dalla locazione di unità immobiliari abitative destinate a locazioni di breve durata, ai sensi del medesimo decreto.
L’aumento non è stato operato in maniera generalizzata, ma si applica limitatamente ai redditi derivanti dalla seconda e successive unità immobiliari concesse in locazione breve dal medesimo contribuente, restando quindi ferma l’aliquota ordinaria del 21% per la prima unità immobiliare locata nel corso del periodo d’imposta.
Una prima bozza della Legge di Bilancio 2026, diffusa nei giorni precedenti la presentazione ufficiale, conteneva una disposizione di rilievo in materia di locazioni brevi, volta a estendere l’incremento dell’aliquota della cedolare secca al 26% anche alla prima unità immobiliare concessa in locazione da persone fisiche. Tale previsione avrebbe comportato il venir meno della distinzione, introdotta con la Legge di Bilancio 2024, tra la prima e le successive unità immobiliari, uniformando di fatto la tassazione di tutti i redditi derivanti da locazioni brevi.
In termini sostanziali, la misura non avrebbe configurato una “revoca” di un’agevolazione precedentemente riconosciuta — come pure è stato impropriamente affermato da alcune ricostruzioni giornalistiche — bensì un secondo incremento del carico fiscale, destinato a completare un percorso di riallineamento dell’aliquota della cedolare secca a quella ordinariamente prevista per i redditi di natura finanziaria e patrimoniale.
A seguito delle forti critiche espresse dalle associazioni di categoria, il Governo è tuttavia intervenuto in sede di revisione della norma, introducendo una versione apparentemente mitigata della disposizione. Nella versione bollinata dalla Ragioneria Generale dello Stato, la struttura duale delle aliquote viene formalmente mantenuta, ma con una significativa rimodulazione dei presupposti applicativi: l’aliquota ridotta del 21% resta infatti riconosciuta solo nei casi in cui, nel corso dell’anno d’imposta, i contratti di locazione breve non siano stati conclusi tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, né attraverso portali telematici che mettono in contatto locatori e conduttori.
Poiché, nella prassi operativa, la quasi totalità dei locatori che operano nel segmento degli affitti brevi si avvale di piattaforme digitali (le cosiddette OTA, Online Travel Agencies) per la promozione e la gestione delle prenotazioni, la possibilità di beneficiare dell’aliquota al 21% risulterà, in concreto, limitata a casi residuali. Ne deriva che l’aumento al 26% finirà – se confermato – per applicarsi, di fatto, alla generalità dei locatori, configurando un intervento che, pur formalmente differenziato, assume nella sostanza un effetto estensivo e generalizzato, con un impatto economico analogo a quello previsto nella bozza originaria.
Per quanto concerne i property manager e, più in generale, i soggetti che gestiscono immobili per conto dei proprietari, la misura proposta non determina un aggravio diretto di natura fiscale, in quanto tali operatori non accedono al regime della cedolare secca. Essi, infatti, agiscono in qualità di mandatari o intermediari nell’ambito della gestione immobiliare e, di conseguenza, i redditi derivanti dalla locazione non sono imputabili alla loro sfera fiscale, bensì a quella del proprietario dell’immobile. Ne deriva che il regime impositivo applicabile ai property manager continua, salvo modifiche future, a rimanere quello ordinariamente previsto per i redditi d’impresa o di lavoro autonomo, a seconda della struttura organizzativa e della qualificazione dell’attività svolta.
Sul piano operativo, resta confermata l’applicazione della ritenuta d’acconto del 21% da parte dei soggetti che intervengono nel pagamento dei canoni o corrispettivi, in qualità di intermediari immobiliari o gestori di piattaforme telematiche, ai sensi dell’art. 4, comma 5-ter, del D.L. n. 50/2017. Tale ritenuta, che mantiene funzione di acconto sull’imposta dovuta, continuerà a essere versata dagli intermediari per conto dei locatori, mentre sarà poi onere del proprietario determinare e versare la differenza dovuta in sede di dichiarazione dei redditi, tenendo conto della nuova aliquota del 26% nel caso di locazioni brevi riconducibili al suo patrimonio immobiliare.
Resta ora da verificare se, nel corso dell’iter parlamentare di approvazione della manovra, la disposizione sarà oggetto di ulteriori modifiche o correttivi. In caso di conferma del testo nella formulazione attuale, i proprietari persone fisiche che intendano contenere l’impatto dell’aumento del prelievo fiscale potranno valutare diverse strategie di adattamento. Da un lato, potrebbe essere ipotizzato un adeguamento dei canoni di locazione — nei limiti consentiti dal mercato — al fine di compensare parzialmente l’incremento dell’aliquota. Dall’altro lato, potrebbe essere presa in considerazione la possibilità di trasformare l’attività di locazione breve in forma imprenditoriale, mediante apertura di partita IVA e adozione di un regime contabile idoneo.
In tale evenienza, ricorrendone i requisiti oggettivi e soggettivi, il contribuente potrebbe accedere al regime forfettario di cui alla legge n. 190/2014, beneficiando dell’imposta sostitutiva dell’IRPEF con aliquota ridotta. Tuttavia, tale opzione comporterebbe anche nuovi obblighi gestionali e contributivi, come l’iscrizione alla gestione separata INPS, nonché l’assunzione di oneri amministrativi legati alla tenuta della contabilità e all’adempimento degli obblighi IVA. Per tali ragioni, sembra discutibile se la trasformazione in attività d’impresa possa effettivamente rappresentare una soluzione economicamente efficiente o sostenibile per i piccoli proprietari che gestiscono un numero limitato di immobili, rimanendo forse percorribile soltanto nei casi in cui sia presente una gestione strutturata e continuativa del patrimonio locativo.
L’intervento normativo, presentato ufficialmente come una misura finalizzata al riequilibrio del mercato delle locazioni brevi, rischia in realtà di configurarsi come un ulteriore irrigidimento del carico fiscale per i piccoli proprietari di immobili, con effetti immediati sulla redditività delle locazioni turistiche. Sul piano sistemico, tale evoluzione normativa sembra allontanarsi dalla ratio originaria della cedolare secca, concepita con il D.Lgs. 23/2011 come uno strumento di semplificazione e di incentivo all’emersione dei redditi da locazione non dichiarati. Il meccanismo della cedolare secca mirava infatti a sostituire IRPEF, addizionali e imposte di registro con un’imposta sostitutiva proporzionale, garantendo trasparenza, certezza del prelievo e riduzione degli oneri amministrativi per i contribuenti privati. L’innalzamento dell’aliquota e la progressiva estensione del trattamento maggiorato, se confermati, rischiano di ribaltare questa impostazione, trasformando il regime semplificato in un sistema più oneroso e complesso, con possibili effetti distorsivi sul comportamento dei locatori e sulla dinamica del mercato delle locazioni turistiche.
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*Avv. Gennaro Sposato, partner Rödl & Partner
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