Codice dei contratti pubblici, riforma senza «gold plating»
Gli eurogiudici censurano la presenza di norme più gravose rispetto al diritto Ue
Ancora una volta i giudici di Lussemburgo sconfessano la scelta del legislatore italiano di introdurre norme più restrittive di quelle europee. Pochi giorni fa la Corte di giustizia dell’Unione europea ha censurato una norma del Codice dei contratti pubblici che prevede requisiti di partecipazione alle gare più rigorosi di quelli previsti a livello sovranazionale (sentenza del 28 aprile 2022, n. 642).
Il caso, oggetto del rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana, riguardava un appalto di servizi relativi al ciclo dei rifiuti urbani bandito da 33 comuni.
La direttiva 2014/24 prevede che in caso di partecipazione alla gara di raggruppamenti di operatori economici le stazioni appaltanti possono richiedere che «taluni compiti essenziali» siano svolti da uno specifico partecipante al raggruppamento (articolo 63, comma 2). Il Codice dei contratti pubblici prevede invece che la mandataria del raggruppamento deve «eseguire le prestazioni in misura maggioritaria» (articolo 83, comma 8).
Secondo la Corte, il contrasto risiede nel fatto che la norma europea segue «un approccio qualitativo e non meramente quantitativo». La norma italiana impone in modo orizzontale la condizione più rigorosa che l’impresa mandataria esegua la maggior parte delle prestazioni. In questo modo, si frustra l’obiettivo europeo «di incoraggiare la partecipazione (…) di piccole e medie imprese alle gare di appalto pubbliche».
Al di là del caso particolare, la sentenza della Corte di giustizia punta il dito sul cosiddetto “gold plating”, cioè sul vizio di inserire nei testi normativi, e in particolare nel Codice dei contratti pubblici, disposizioni aggiuntive più gravose, non richieste e talora contrastanti con il diritto europeo. Si finisce così per appesantire il sistema e ingessare l’operato delle pubbliche amministrazioni.
Il divieto di “gold plating” è ora inserito nel disegno di legge di delega per la riscrittura del Codice dei contratti pubblici, approvato dal Senato ad aprile e adesso all’esame della Camera dei deputati. Il primo criterio della delega è, infatti, quello di imporre al Governo in sede di emanazione del decreto delegato «la stretta aderenza alle direttive europee» attestandosi su «livelli di regolazione corrispondenti a quelli minimi richiesti dalle direttive».
Questo criterio richiederà ai redattori del nuovo Codice un lavoro da certosini per espungere i tanti appesantimenti contenuti in quello vigente, che creano spesso problemi in sede applicativa e alimentano il contenzioso.
Va segnalata però una criticità. Lo stesso disegno legge di delega, anche a causa di alcuni emendamenti approvati dal Senato, contraddice in alcune disposizioni l’obiettivo di evitare il “gold plating”. Così, per esempio, si introduce il divieto per le stazioni appaltanti di utilizzare il sorteggio come metodo per selezionare le imprese da invitare alla procedure negoziate, che invece è quello più semplice e obiettivo in presenza di numeri elevati di manifestazioni di interesse. Oppure si prevedono strumenti premiali per realizzare le pari opportunità generazionali, di genere e a favore dei disabili. Si tratta in questo caso di obiettivi condivisibili, ma c’è da chiedersi se è opportuno promuoverli attraverso lo strumento delle gare pubbliche. L’obiettivo prioritario di queste ultime dovrebbe essere, infatti, quello di assicurare alle pubbliche amministrazione beni, lavori e servizi di alta qualità e a prezzo ragionevole. Non sarà facile per i redattori del codice operare una quadratura del cerchio.