Lavoro

Compensi avvocati, la sola fattura non blocca la prescrizione

Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 26286 depositata oggi. Con la sentenza n. 26288 ha invece affermato che il patto di quota lite stipulato nel periodo in cui era consentito resta valido

di Francesco Machina Grifeo

Con riguardo alla prescrizione presuntiva di un compenso professionale, nel caso di un avvocato, la Cassazione ha precisato che non costituiscono validi atti interruttivi né l’invio della fattura se priva di una inequivoca intimazione a pagare, né tantomeno il pagamento parziale qualora non venga espressamente indicato come acconto. La II Sezione civile, sentenza n. 26286 depositata oggi, ha così respinto il ricorso di un legale che pretendeva il pagamento di circa 5mila euro (al netto dell’importo di euro 1.000, già versato) a titolo di compenso per prestazioni giudiziali in materia penale, nonché ulteriori interessi legali maturati e maturandi e vittoria di spese processuali.

In primo grado invece il tribunale aveva dato ragione al professionista affermando che il termine triennale di prescrizione presuntiva era stato interrotto, dapprima con l’invio della fattura e successivamente con il pagamento parziale.

Il ragionamento però non convince la Suprema corte che ricorda come l’atto di costituzione in mora (art. 1219 c.c.), consiste nella manifestazione di volontà del creditore di pretendere subito l’adempimento o di non voler tollerare ulteriore ritardo. E allora, sebbene non sia necessaria una particolare formula solenne, l’atto per avere efficacia interruttiva deve contenere “l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento”. “Può perciò ritenersi – si legge - che l’invio di una fattura commerciale - sebbene, di per sé, insufficiente ai fini ed agli effetti di cui all’art. 1219, comma 1, c.c. - può risultare idoneo a tale scopo solo allorché risulti corredata dall’indicazione di un termine per il pagamento e dall’avviso che, se lo stesso non interverrà prima della scadenza, il debitore dovrà ritenersi costituito in mora”. Mentre, nel caso concreto, la fattura non permetteva di “rinvenire una specifica richiesta di adempimento, con la fissazione … anche di un termine entro il quale adempiere”. Inoltre, la presenza nel documento della indicazione “pagate” non era interpretabile in modo univoco. Infine, l’invio era stato fatto al solo Comune e non anche all’assessore da cui il ricorrente pretendeva il pagamento.

Con riguardo poi all’altro motivo di ricorso, relativo al pagamento parziale, la Suprema corte precisa che “ove non accompagnato dalla precisazione della sua effettuazione in acconto, non può valere come riconoscimento del debito, rimanendo comunque rimessa al giudice di merito la relativa valutazione di fatto, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata”. Nel caso specifico, si trattava di una somma inferiore rispetto a quella asseritamente maturata, priva però della “specifica indicazione che si tratti di pagamento in acconto, occorrendo a tal fine anche tenere conto della circostanza che il debitore ha eccepito la prescrizione presuntiva, e cioè la previsione legale che annette al decorso del tempo la presunzione che l’intera obbligazione sia stata estinta”. Aggiungendo che il pagamento era riferibile ad altro incarico professionale.

Sempre in tema di compensi dell’avvocato, la Cassazione, sentenza n. 26288 depositata oggi, accogliendo un motivo di ricorso dell’avvocato, ha chiarito che il patto di quota lite stipulato nel periodo in cui era consentito resta valido, anche se l’attività professionale si è protratta dopo la reintroduzione del divieto. “Al fine di valutare la validità dell’accordo quotalizio – si legge nella decisione – […], rileva esclusivamente il dato che il contratto di patrocinio sia stato concluso nel periodo in cui il patto di quota lite era consentito”. “Erroneamente – prosegue la Corte - l’ordinanza impugnata ha valorizzato il dato che il rapporto professionale si fosse protratto nel tempo, perché è il contratto di patrocinio a costituire il titolo in forza del quale il professionista ha svolto l’attività professionale e può vantare il relativo compenso nell’entità pattuita, per cui ciò che rileva è che l’accordo relativo al patto di quota lite fosse lecito nel momento nel quale è stato concluso il contratto di patrocinio”. “Si deve applicare il principio – conclude sul punto - secondo il quale le disposizioni che prevedono nullità di clausole negoziali - quale è l’art. 13 legge 247/2012 laddove ha nuovamente introdotto il divieto del patto di quota lite - non sono retroattive e tale irretroattività opera anche ai fini della previsione della sostituzione della clausola nulla con la disciplina legale”.

In definitiva, “il patto di quota lite, in quanto stipulato dopo la riformulazione dell’art. 2233 cod. civ. operata dal d.l. 223/2006 conv. con mod. dalla legge 248/2006 e prima dell’entrata in vigore dell’art. 13 legge 247/2012 è valido”, a meno che – precisa la Cassazione –, “valutato sotto il profilo causale e sotto il profilo dell’equità, alla stregua della regola integrativa di cui all’art. 45 del codice deontologico forense nel testo deliberato il 18-1-2007, il rapporto tra il compenso pattuito e il risultato conseguito, stabilito dalle parti all’epoca della conclusione del contratto, risulti sproporzionato per eccesso rispetto alla tariffa di mercato”.

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