Comunitario e Internazionale

Concorrenza con diritto di difesa effettivo

La revoca di una sentenza definitiva deve poggiare sul principio di equivalenza

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di Marina Castellaneta

Gli Stati membri non sono obbligati a prevedere che i singoli possano chiedere la revocazione di una sentenza di ultimo grado per motivi legati a una non corretta interpretazione del diritto dell’Unione europea. È necessario, però, che nell’individuare dei rimedi giurisdizionali, sia garantito il principio di equivalenza e di effettività. È quanto ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 7 luglio (C-261/21) resa su rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato.

Due società avevano stipulato, dopo l’immissione in commercio di un farmaco per il trattamento di patologie oftalmiche, un accordo di ripartizione del mercato. Alcuni medici avevano continuato a prescrivere un altro farmaco per motivi che non corrispondevano a quelli previsti dall’autorizzazione all’immissione in commercio (uso off-label). Altre due società avevano iniziato a diffondere notizie sulla sicurezza del farmaco ad uso off-label con conseguente calo delle vendite.

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva inflitto due ammende di circa 90 milioni alle aziende che avevano concluso un’intesa volta a manipolare la percezione dei rischi del prodotto precedente. Il Tar del Lazio aveva respinto i ricorsi delle imprese e la vicenda era arrivata dinanzi al Consiglio di Stato che, prima di decidere, aveva chiesto un intervento in via pregiudiziale della Corte Ue. Dopo la sentenza della Corte, il Consiglio di Stato aveva respinto il ricorso delle aziende. Tuttavia, le società avevano proposto una revocazione della sentenza perché, a loro avviso, i giudici amministrativi non avevano accertato – come invece richiesto da Lussemburgo – che le informazioni diffuse dalle imprese interessate fossero ingannevoli.

A fronte di questa domanda, il Consiglio di Stato ha sollevato una nuova questione pregiudiziale in particolare per verificare se l’ordinamento nazionale sia tenuto a prevedere l’obbligo di revocazione di una sentenza passata in giudicato nel caso sia confliggente con una sentenza della Corte Ue.

Precisato che gli Stati membri sono tenuti a individuare i rimedi giurisdizionali per assicurare alle persone fisiche e giuridiche, nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva, la Corte ha stabilito che spetta a ciascun Paese membro fissare le modalità processuali dei rimedi giurisdizionali. Con un limite nell’esercizio del principio dell’autonomia procedurale: questi rimedi - in forza del principio di equivalenza - non devono essere meno favorevoli rispetto a situazioni analoghe disciplinate dal diritto interno e che non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’Unione in virtù del principio di effettività.

L’articolo 106 del Codice del processo amministrativo – osservano gli eurogiudici – letto congiuntamente con gli articoli 395 e 396 del Codice di procedura civile, limita in modo uguale le possibilità di richiedere una revoca di una sentenza del Consiglio di Stato, «indipendentemente dal fatto che la domanda di revocazione trovi un proprio fondamento in disposizioni di diritto nazionale oppure in disposizioni del diritto dell’Unione». Pieno rispetto, quindi, del principio di equivalenza e stessa conclusione per il principio di effettività perché, per Lussemburgo, il diritto processuale italiano non rende impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, nel settore del diritto della concorrenza, dei diritti conferiti ai singoli dall’ordinamento Ue.

Rispettati questi principi, gli Stati membri non sono obbligati a consentire la possibilità di chiedere la revoca di una sentenza definitiva.

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