Responsabilità

Cure sperimentali, spetta al paziente provare che le avrebbe scelte

La Corte di cassazione, ordinanza n. 25771/2025, chiarisce il riparto dell’onere probatorio ai fini del risarcimento del danno e della validità del contratto terapeutico

di Francesco Machina Grifeo

Spetta al paziente, oppure a chi decide in sua vece (ai genitori dunque nel caso di minori), provare che se debitamente informato avrebbero scelto una cura alternativa, sebbene ancora in fase sperimentale, al posto di quella al momento “raccomandata” dalla scienza medica. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 25771/2025, respingendo il ricorso di un papà ed una mamma di un bambino deceduto per via di un linfoma, con sindrome infausta, contro la sentenza della Corte di appello di Trento che li aveva condannati a pagare oltre 100mila euro per le spese mediche eseguite in una clinica universitaria austriaca.

Secondo la Ctu disposta dal Tribunale di primo grado, il trattamento di un linfoma ALCL secondo il protocollo ALCL Relapse costituiva la terapia “standard” con buona prognosi, mentre il trattamento con i farmaci “Crizotinib” o “Brentuximab Vedotin” sarebbe stato altamente sperimentale e l’efficacia ed eventuali effetti indesiderati non sarebbero stati noti. Per cui, pur non contestando che vi fosse stata una richiesta di informazioni su terapie alternative, il Giudice ha condannato la coppia a pagare la somma richiesta dalla clinica affermando che i medici non erano obbligati ad informare su terapie assolutamente sperimentali, la cui efficacia non sarebbe stata ancora sufficientemente dimostrata.

Proposto ricorso, la Corte di secondo grado l’ha respinto affermando, tra l’altro, che gli appellanti non avevano fornito la prova che, qualora avessero ricevuto un’informazione completa, non avrebbero acconsentito al trattamento del figlio secondo il protocollo racomandato ALCL Relapse (chemioterapia e trapianto allogenico da cellule staminali) in quanto solo in questo caso l’inadempimento dei medici avrebbe potuto costituire una fonte autonoma di risarcimento. Secondo la Corte d’appello, al contrario, gli elementi probatori ed indiziari facevano presumere che i genitori, messi davanti alla scelta tra farmaci privi di un significativo riscontro e il trattamento secondo il protocollo che a tutt’oggi costituisce l’opzione terapeutica più “valida” per il trattamento di linfomi recidivati con probabilità di guarigione superiore al 50%, avrebbero scelto la seconda opzione invece che la prima.

E la Cassazione ha validato questa interpretazione. Secondo gli ermellini, il criterio di riparto dell’onere della prova “è stato applicato in modo corretto”. La Corte territoriale, infatti, ha valutato in modo puntuale il “contesto temporale in cui dovevano essere prese le decisioni terapeutiche e non si è limitatata “a fare riferimento ad un’unica massima di esperienza”, concludendo che a fronte di un adempimento parzialmente inadeguato dell’obbligo di informazione, “fosse mancata la prova del nesso di causalità tra le conseguenze subite per la salute del piccolo paziente e una corretta somministrazione di una terapia curativa secondo le regole dell’arte medica”. I genitori, infatti, non avevano fornito la prova della volontà di rifiutare la terapia raccomandata, ove fossero stati adeguatamente informati dell’esistenza di quella ancora in fase sperimentale.

In definitiva, la sentenza impugnata ha correttamente escluso che l’omessa informazione sulle terapie alternative potesse comportare un errore essenziale ai sensi dell’art. 1429 c.c. ovvero costituire inadempimento grave ai sensi dell’art. 1455 c.c.. In difetto di elementi probatori certi, la Corte ha ritenuto cioè che il comportamento dei genitori, anche in caso di informazione completa, non sarebbe stato diverso. In particolare, la Corte d’appello ha affermato che non essendo stata fornita dai genitori la prova che avrebbero rifiutato il trattamento ALCL Relapse, per un verso, la non completa informazione non ha cambiato nulla in ordine all’oggetto del contratto e non risulta pertanto integrata la fattispecie di un errore essenziale e, per l’altro, non ha riconosciuto la necessaria rilevanza ai sensi dell’articolo 1455 c.c. al ritenuto non-completo adempimento dell’obbligo di informazione da parte dei medici curanti.

In sostanza, senza prova controfattuale della scelta diversa, la violazione dell’obbligo informativo non comporta né danno risarcibile né invalidità del contratto terapeutico.

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