Civile

Delibazione nullità ecclesiastica del matrimonio, alle S.U. la rilevabilità d’ufficio

La Prima sezione, ordinanza interlocutoria n. 30993 depositata oggi, ha rimesso la questione al Massimo consesso

di Francesco Machina Grifeo

Ai fini della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, saranno le Sezioni unite a chiarire se l’eccezione della convivenza ultra-triennale, possa solo essere dedotta dalla parte, oppure – investendo una questione di ordine pubblico – possa essere anche rilevata d’ufficio. La Cassazione, ordinanza interlocutoria n. 30993 depositata oggi, ha infatti rimesso la questione al Massimo consesso.

Il caso è paradigmatico riguardando un matrimonio che si era protratto per oltre venti anni, all’interno del quale erano nati due figli, e vi erano stati altrettanti aborti su input del coniuge. Il Tribunale ecclesiastico, avendo individuato un “grave difetto di discrezione di giudizio del marito circa i diritti e i doveri matrimoniali” (canone 1095, numero 2), oltreché “l’incapacità ad assumere gli obblighi essenziali del matrimonio per cause di natura psichica” (canone 1095, numero 3), ne aveva dichiarato la nullità.

E la Corte d’appello ne ha sancito l’efficacia nell’ordinamento italiano, senza dare ingresso all’eccezione di convivenza triennale, in quanto la stessa, costituendo un’eccezione in senso stretto, avrebbe dovuto essere proposta dalla convenuta, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta. Contro questa decisione ha proposto ricorso la donna. Concorde il Pm secondo il quale la qualificazione in termini di eccezione in senso stretto della deduzione della stabile convivenza ultra-triennale dovrebbe essere superata.

Una lettura condivisa dalla Prima sezione che dunque ha posto alle S.U. la soluzione della seguente questione: se la durata ultra-triennale della convivenza come coniugi, ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, rappresenti materia di eccezione in senso stretto, e come tale entri a far parte del giudizio soltanto se proposta dal coniuge convenuto, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta; o se i fatti che integrano il vissuto matrimoniale per una lunga durata siano comunque rilevabili d’ufficio una volta che il fatto impeditivo del riconoscimento della sentenza ecclesiastica, rappresentato dal duraturo e radicato matrimonio-rapporto con la connessa convivenza come coniugi, sia acquisito agli atti del processo.

Nel 2014, le S.U. (n. 16379/2025) hanno stabilito che la convivenza protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione, integra una situazione giuridica di ordine pubblico, la cui tutela trova fondamento nei principi supremi di sovranità e di laicità dello Stato, come tale ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità del tribunale ecclesiastico. Sul problema specifico della rilevabilità della convivenza, avevano però affermato che doveva qualificarsi come “eccezione in senso stretto” (exceptio iuris), opponibile da un coniuge alla domanda di delibazione proposta dall’altro coniuge.

La Sezione rimettente non condivide quest’ultimo assunto. “Affidare all’esclusiva iniziativa della parte – si legge nella decisione - il potere di rilevare quei fatti […] equivarrebbe a rendere di fatto derogabile, a opera delle parti stesse, il limite di ordine pubblico connesso alla convivenza triennale”. Così precludendo sia la possibilità, per il pubblico ministero interveniente nel giudizio di delibazione, di sollevare l’eccezione, sia la rilevabilità d’ufficio da parte del giudice.

Le Sezioni unite - prosegue l’ordinanza -, nel 2014, dopo aver affermato la contrarietà all’ordine pubblico di una sentenza dichiarativa della nullità matrimoniale intervenuta dopo una prolungata convivenza dei coniugi, si sono fatte guidare da un criterio di “prudenza e gradualità”, sino a delineare una sorta di “controlimite”. Nella sostanza, però, questo orientamento “finisce adesso per ridimensionare la portata della convivenza coniugale”. Rischiando anche un’inversione dell’onere della prova a carico del convenuto che si oppone alla delibazione.

E allora, conclude la decisione, “negli auspici di questo Collegio rimettente, il trascorrere del tempo potrebbe sollecitare le Sezioni Unite, coadiuvate anche dalla esemplarità del caso, a rimeditare la conclusione raggiunta”.

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