Detenuti, perquisizione con denudamento da autorizzare
La Cassazione, sentenza n. 30544 depositata oggi, ha accolto con rinvio il ricorso dell’imputato condannato per resistenza a pubblico ufficiale
Non scatta il reato di resistenza a pubblico ufficiale per il detenuto che si rifiuta di sottoporsi a una perquisizione “con denudamento” in assenza di una specifica autorizzazione in merito. Lo ha stabilito la Cassazione penale, sentenza n. 30544 depositata oggi, accogliendo con rinvio il ricorso dell’imputato contro la decisione della Corte di appello di Napoli che l’aveva condannato ex art. 337 codice penale.
Al detenuto veniva contestato di aver usato minaccia e violenza per sottrarsi alla perquisizione disposta al termine di un colloquio con i familiari; denunciando: “Voi fate un abuso di potere”.
L’imputato ha lamentato il mancato riconoscimento della causa di giustificazione prevista dall’art. 393 bis cod. pen., per il caso in cui, un pubblico ufficiale abbia ecceduto i limiti delle proprie attribuzioni. In particolare, la reazione all’ordine di spogliarsi, secondo il ricorrente, trovava ragione nel fatto che la perquisizione “particolarmente invasiva”, sarebbe stata disposta senza un “motivato autorizzatorio”.
Per la VI Sezione penale il ricorso è fondato. La mancata autorizzazione, sostenuta dall’imputato, osserva la Corte, non è contestata. Inoltre, quest’ultimo per rimarcare il comportamento anomalo degli agenti aveva sottolineato il fatto che la sanzione inflittagli era stata “particolarmente lieve” (tre giorni di isolamento), rispetto ad altri casi analoghi.
Il giudice di appello, ricostruisce poi la Cassazione, aveva affermato che non vi sarebbero ragioni per dubitare di quanto affermato dalla polizia penitenziaria, e cioè che si trattava di una “perquisizione ordinaria e non con denudamento”. Per la Corte di secondo grado, infatti, le dichiarazioni della Polizia sarebbero “attendibili” in quanto prive di un “interesse inquinante”, mentre quelle dell’imputato sarebbero “di per sé” dotate di una “minore capacità dimostrativa” dei fatti narrati “in assenza di qualsivoglia riscontro”.
Per la Cassazione il ragionamento “non può essere condiviso”. Considerato il rilievo del tema nel processo, si legge nella decisione, esso avrebbe dovuto essere “accertato con rigore”; mentre le deposizioni del personale di polizia penitenziaria “non potevano di per sé esautorare da approfondimenti probatori, essendo gli agenti soggetti non del tutto terzi rispetto alla ricostruzione alternativa dell’imputato”.
In definitiva, per la Suprema corte il quadro complessivo non è chiaro. Il giudice del rinvio dovrà allora procedere con un nuovo giudizio chiarendo i seguenti punti: a) se fossero presenti, oltre agli agenti, altre persone; b) quali erano le procedure ordinarie dopo i colloqui; c) quali i rapporti dell’imputato con gli agenti; d) cosa fu accertato nel procedimento disciplinare; e) se la tesi della perquisizione arbitraria fu sostenuta sin da subito; f) quale sanzione disciplinare veniva inflitta per comportamenti di quel tipo; e) se vi erano stati in precedenza comportamenti abusivi da parte degli agenti.