Penale

Sempre punibile l’accesso abusivo a un sistema informatico

La Suprema corte (sentenza 30516/2025) ha accolto il ricorso del Pg contro l’assoluzione di un poliziotto che aveva spiato la ex sul sistema SDI: nessun overruling, l’accesso per fini personali è sempre stato penalmente rilevante

di Francesco Machina Grifeo

Il mutamento della giurisprudenza “in malam partem”, costituisce causa di esclusione della colpevolezza solo nel caso in cui l’imputato, al momento del fatto, poteva fare affidamento su una regola giurisprudenziale stabile che escludeva la rilevanza penale della condotta e non vi erano segnali tali da far pensare a un cambio di rotta in senso punitivo. Così ricostruito il principio in materia overruling, la Cassazione, sentenza n. 30516 depositata oggi, ha accolto (con rinvio) il ricorso del Pg della Corte di Appello di Bologna contro l’assoluzione dal reato di accesso abusivo a un sistema informatico di un sovrintendente della Polizia di Stato che per motivi estranei a quelli lavorativi – e in particolare per spiare la ex compagna e il figlio – era entrato nella banca dati informatica SDI del ministero dell’Interno.

Per la V Sezione penale, infatti, non vi è stato “alcun mutamento giurisprudenziale radicale, tantomeno repentino, inaspettato, contrario e “sfavorevole”, rispetto a un precedente “stabile e incontrastato” delle Sezioni Unite tale da poter scriminare la condotta contestata che, invece, rientra in una delle “più frequenti” ipotesi di “sviamento di potere” e di “accesso ad un sistema informatico per finalità ontologicamente estranee a quelle per le quali l’autore della condotta è autorizzato”.

L’imputato si è difeso sostenendo che la sentenza a Sez. U, n. 41210 del 2017, cd. Savarese, che avrebbe segnato un overruling sfavorevole era (nelle motivazioni almeno) successiva al precedente orientamento favorevole e su cui avrebbe fatto affidamento (S.U. n. 4694/2012, Casani).

La Cassazione, con una lunga e complessa decisione, ricostruisce il quadro giurisprudenziale. Per prima cosa richiama la decisione, sempre a S.U., n. 16153/2024, Clemente, secondo la quale l’incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione di una norma “non abilita, da sola, ad invocare la condizione soggettiva d’ignoranza inevitabile della legge penale, atteso che il dubbio circa la liceità o meno di una condotta, ontologicamente inidoneo ad escludere la consapevolezza dell’illiceità della medesima, deve indurre l’agente ad un atteggiamento di cautela, fino all’astensione dall’azione”. E poi la ancora più recente sentenza, sempre a Sez. U, n. 27515 del 10/04/2025, Valca, secondo la quale ciò che realmente rileva ai fini dell’overruling “è, necessariamente, un pregresso indirizzo di tale significanza da non potere lasciare dubbi di sorta al destinatario del precetto circa le conseguenze, penali o meno, della propria azione”.

La sentenza a S.U. Boenzi n. 28594/2024, invece, per ovviare a situazioni di possibile frizione tra il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole e l’imprevedibilità del precetto causata dal mutamento giurisprudenziale, afferma che costituisce causa di esclusione della colpevolezza il mutamento di giurisprudenza “in malam partem”, nel caso in cui l’imputato, al momento del fatto, poteva fare affidamento “su una regola stabilizzata, enunciata dalle Sezioni Unite, che escludeva la rilevanza penale della condotta e non vi erano segnali, concreti e specifici tali da indurre a prevedere che, in futuro, le Sezioni Unite avrebbero attribuito rilievo a quella condotta, rivedendo il precedente orientamento in senso peggiorativo”.

Si tratta di una questione, osserva la Cassazione, che è divenuta ancor più rilevante in un sistema che con l’art. 618, co. 1-bis, cod. proc. pen., vuole puntare proprio ad assicurare maggiore uniformità, prevedibilità e stabilità. Tuttavia, prosegue, se il mutamento giurisprudenziale “si atteggia sempre più come una vera e propria modifica legislativa”, il nostro sistema penale “non tollera l’applicazione automatica dei canoni di irretroattività della legge all’overruling”.

Lo strumento per modificare un orientamento interpretativo senza intaccare la legalità sostanziale e il principio di irretroattività sfavorevole, spiega la Corte, resta l’art. 5 cod. pen., come interpretato dalla Corte Costituzione (n. 364/88). La categoria della colpevolezza, infatti, consente di tutelare l’individuo «contro le incertezze e i difetti della produzione giuridica, legislativa e giurisprudenziale perché essa si modella alle effettive capacità conoscitive del soggetto concreto, realizzando il principio di responsabilità“». Non è chiaro però, prosegue la decisione, se la possibilità di ”aprire” l’interpretazione dell’art. 5 cod. pen. alla “incolpevolezza” derivante dalla imprevedibilità del mutamento giurisprudenziale sfavorevole possa avvenire con un’interpretazione adeguatrice del giudice ordinario, anzitutto di legittimità, oppure mediante ricorso a incidente di costituzionalità.

Dopo aver lanciato il sasso, la Suprema corte non va oltre: nel caso specifico – osserva - la questione è irrilevante, “poiché, nella successione degli orientamenti delle Sezioni Unite in ordine all’interpretazione del delitto di cui all’art. 615-ter cod. pen. non si è al cospetto di un caso di overruling sfavorevole”. Per i giudici, infatti, sia la sentenza Casani che la sentenza Savarese puntano ad affermare, di fondo, che gli accessi ontologicamente estranei a quelli autorizzati integrano il reato. L’abuso delle finalità autorizzative, per Sez. U, Savarese, equivale a “operazioni ontologicamente estranee” rispetto a quelle consentite; operazioni che già la sentenza Casani aveva incluso nella configurabilità del reato.

Al massimo dunque, prosegue la Corte, “si è al cospetto di un orientamento che, nonostante il primo intervento delle Sezioni Unite, ha dovuto essere metabolizzato dalla giurisprudenza di legittimità nei suoi dettagli, tanto da meritare un secondo intervento del massimo collegio nomofilattico, ma che certamente non può costituire il presupposto di una scusabilità, radicata sul piano della colpevolezza, dell’ignoranza del precetto penale, declinato secondo l’inclusione della condotta di accedere o permanere ad un sistema informatico per finalità ontologicamente estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso è attribuita”.

Nel caso affrontato, conclude la Corte, si rientra perfettamente, nel paradigma interpretativo del rapporto evolutivo-chiarificatore sussistente tra le sentenze Casani e Savarese, “sicché non si è in presenza di alcun mutamento giurisprudenziale radicale, tantomeno repentino, inaspettato, contrario e ‘sfavorevole’, rispetto ad un precedente ‘stabile e incontrastato’ delle Sezioni unite”.

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