Remissione di querela, la produzione in giudizio equivale all’accettazione
Lo ha chiarito la VI Sezione penale, con la sentenza n. 30377/2025,
L’accettazione della remissione di querela si presume, a condizione che non sussistano elementi indicativi della volontà contraria del querelato, edotto della volontà del querelante e in grado di accettare o rifiutare. Ragion per cui la produzione in giudizio, da parte del querelato, della remissione della querela, finalizzata alla dichiarazione di estinzione del reato ascrittogli, equivale, pur in assenza di formale accettazione, alla mancanza di ricusa, idonea a consentire tale declaratoria. Lo ha chiarito la VI Sezione penale, con la sentenza n. 30377/2025, annullando, limitatamente ad un capo di imputazione – sottrazione agli obblighi di assistenza nei confronti del coniuge -, la sentenza di condanna per remissione della querela.
Il ricorrente aveva infatti chiesto che venisse dichiarata l’estinzione del reato producendo l’atto di transazione intercorso tra le parti e il verbale di remissione della querela sottoscritto dalla ex. Il Pg, nel concludere nell’annullamento per prescrizione, aveva invece sostenuto che la rimessione non rilevava in quanto, come affermato dalla Corte territoriale, il fatto contestato deve essere sussunto nella fattispecie di all’art. 570, comma secondo.
Per la Suprema corte va considerato che sebbene il ricorrente non abbia prodotto anche la formale accettazione della rimessione di querela, “la sua produzione in giudizio al fine di ottenere la declaratoria di estinzione dei reati ascritti equivale ad una mancanza di ricusa idonea a consentire una declaratoria di estinzione per tale causa”.
La Cassazione richiama poi un precedente sulla rilevanza della mancata comparizione in udienza del querelato che sia posto a conoscenza della intervenuta rimessione della querela in cui si è affermato che “in tal caso, siffatto comportamento integra, ai sensi dell’art. 155, comma primo, cod. pen., la mancanza di ricusa idonea legittimare la pronuncia di estinzione del reato”. Si tratta di un principio, prosegue la Corte, che ha trovato una sua codificazione nella riforma Cartabia (Dlgs n. 150 del 2022) che, modificando l’art. 152 cod. pen., ha inserito al terzo comma l’esplicita previsione che l’ingiustificata comparizione del querelante all’udienza alla quale è stato citato in qualità di testimone equivale ad accettazione tacita della rimessione della querela.
Del resto, prosegue il ragionamento, la remissione di querela è un atto giuridico unilaterale che si perfeziona con la sua manifestazione e non necessita di accettazioni o adesioni del querelato, il quale può solo rifiutare e quindi rendere inefficace la remissione, impedendo la declaratoria di improcedibilità. Infatti – continua -, nonostante la rubrica dell’art. 155 cod. pen. sia intitolata «Accettazione della remissione», ciò che normativamente si richiede (comma primo) è che il querelato non abbia ricusato la remissione, espressamente o tacitamente attraverso il compimento di «fatti incompatibili con la volontà di accettare la remissione».
Il comportamento concludente preso in considerazione dall’art. 155, comma primo, cod. pen., “non è, dunque, quello attraverso cui si renda percepibile una adesione del querelato alla remissione di querela”, ma – prosegue la sentenza - attiene a una “tacita manifestazione di volontà diretta a impedirla: non un comportamento positivo, di accettazione, ma uno negativo, di rifiuto.
La Corte ha allora affermato che “l’accettazione si presume”, come verificatosi nel caso di specie, “purché non vi siano fatti indicativi di una volontà contraria del querelato, pienamente edotto della volontà del querelante e che si trovi in grado di accettare o rifiutare”.
Ciò detto, conclude sul punto, gli effetti estintivi della sopravvenuta rimessione della querela possono interessare le sole condotte poste in essere dal ricorrente nei confronti del coniuge, ma non quelle che hanno, invece, interessato l’inadempimento degli obblighi nei confronti dei figli minori, trattandosi di una condotta criminosa procedibile d’ufficio.