Penale

Detenuti senza domicilio, strutture di accoglienza per le misure alternative

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Dm Giustizia 24 luglio 2025, n. 128 che crea un elenco delle strutture disponibili ed i requisiti soggettivi che devono avere i detenuti per proporre istanza

di Francesco Machina Grifeo

Dal prossimo 30 settembre gli avvocati potranno avviare il procedimento per permettere ai propri assistiti, detenuti senza possibilità di godere di misure alternative per l’assenza di un domicilio, di fare domanda per l’accoglienza in una struttura residenziale volta al reinserimento sociale. È stato infatti pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 214 del 15 settembre scorso, il D.M. Giustizia 24 luglio 2025, n. 128, che introduce per la prima volta una cornice organica per le case di accoglienza stabilendo criteri uniformi per iscrizione, vigilanza, accesso e sostenibilità.

Il decreto prevede l’istituzione di un elenco, aggiorna due volte l’anno, delle strutture per l’accoglienza e il reinserimento, con le caratteristiche che devono avere e le modalità per il recupero delle spese. Vengono poi dettagliati i presupposti soggettivi e di reddito per l’accesso.

Possono presentare domanda, direttamente o tramite il proprio avvocato, i detenuti con le seguenti caratteristiche: 1) ammissibili a misure penali di comunità; 2) privi di un domicilio idoneo; 3) con reddito entro i limiti per il patrocinio a spese dello Stato; 4) non destinatari di provvedimenti di espulsione. I requisiti devono essere posseduti congiuntamente. La permanenza massima è di 8 mesi, dopodiché il beneficiario dovrà procurarsi un domicilio autonomo.

Presso ogni Istituto penitenziario viene istituito un elenco, con i nomi dei detenuti in possesso dei requisiti che hanno presentato domanda per una misura penale di comunità. Il Direttore dell’istituto, verificati i requisiti, avvalendosi della Relazione dell’Equipe di osservazione e trattamento, trasmette l’istanza per l’attestazione della disponibilità di un posto con oneri a carico dell’Amministrazione.

La Relazione, fra l’altro, dovrà verificare: a) l’assenza di sanzioni disciplinari superiori all’ammonizione del Direttore; b) l’assenza di episodi di aggressività etero-diretta; c) le abilità lavorative possedute o acquisite durante lo stato di detenzione; d) la attiva e proficua partecipazione ai percorsi trattamentali; e) ogni ulteriore elemento che possa supportare il raggiungimento dell’obiettivo di inserimento lavorativo e il reperimento di un domicilio autonomo.

A questo punto la Direzione dell’Ufficio interdistrettuale di esecuzione penale esterna può rilasciare l’attestazione che viene trasmessa all’Autorità giudiziaria competente a decidere. Le richieste sono istruite secondo l’ordine di acquisizione. La decisione dell’Autorità giudiziaria, anche in caso di rigetto, è comunicata immediatamente, a cura della cancelleria, all’Ufficio.

Se l’Autorità giudiziaria non decide alcunché entro due mesi, l’attestazione perde i suoi effetti e l’Ufficio interdistrettuale assegna il posto ad un altro detenuto. Se invece la decisione è negativa l’attestazione perde immediatamente i suoi effetti.

Per il programma vengono stanziati 7 milioni di euro l’anno a decorrere dal 2024; le risorse sono ripartite fra gli Uffici interdistrettuali di esecuzione penale esterna (UEPE). In caso di domanda superiore alle risorse, verrà data priorità alle strutture con migliori programmi di reinserimento e risultati documentati.

Al termine della misura, lo Stato può procedere al recupero delle spese sostenute, applicando le norme del Testo Unico sulle spese di giustizia (D.P.R. 115/2002).

Gli avvocati avranno dunque un’arma in più per tutelare i propri assistiti redigendo una istanza motivata, evidenziando che l’assenza di domicilio è un ostacolo superabile grazie al D.M. 128/2025; oltre alla condizione di indigenza e quindi il diritto alla copertura a carico dello Stato; infine, l’indicazione della struttura disponibile (se individuata) ed eventuali percorsi di reinserimento già avviati.

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