Grazie alla mediazione familiare la coppia in crisi può trovare una via di pacificazione
La pacificazione delle relazioni non si comanda, ma deve essere resa possibile. Dopo trent'anni di attività nel campo della facilitazione della comunicazione, l'Associazione GeA-Genitori ancòra, ha deciso di mettere nero su bianco - grazie al lavoro di coordinamento del direttore scientifico, Fulvio Scaparro, e del presidente, Chiara Vendramini - la teoria e la pratica della mediazione familiare come cura dei rapporti e come strumento operativo a disposizione delle famiglie in trasformazione, in un volume dal titolo “Pacificare le relazioni familiari” (edizioni Erickson).
Il testo, presentato giovedì scorso alla Casa dei diritti di Milano, ripercorre la nascita e gli sviluppi della disciplina all'estero e in Italia, lo svolgimento concreto dell'azione del mediatore familiare anche nei confronti delle nuove forme di famiglia, la possibile integrazione delle sue competenze con quelle dei legali delle parti.
L’esempio dei genitori
«I genitori – come afferma da sempre Fulvio Scaparro - hanno un compito che da solo basta a dare senso a una vita: dimostrare con l'esempio che anche se la convivenza tra adulti non è più possibile, è possibile mantenere un impegno comune per aiutare i figli a entrare nel mondo». Per potersi accorgere che la guerra li ha snaturati, però, mamma e papà devono darsi “tregua” e riuscire a trovare fuori dal tribunale la nuova intesa.
Ne è convinta anche Anna Cattaneo, presidente della IX sezione del tribunale civile di Milano, quella che si occupa appunto di separazioni e affido dei minori. «Noi giudici – ha detto la Cattaneo a margine della presentazione del libro - possiamo dare tempo alle parti, esortare soluzioni conciliative, suggerire noi un accordo che porti alla trasformazione del rito da giudiziale a consensuale, ma l'unica possibilità che hanno di riappropriarsi della loro responsabilità genitoriale è la mediazione familiare». Ecco perché, per la giudice milanese è importantissimo far conoscere la mediazione familiare alle coppie in lite e ai loro avvocati, affinché la via giudiziaria sia l'ultima risorsa, non la prima, di una famiglia che si deve ripensare.
E se i mediatori familiari sono fermamente contrari all'invio obbligatorio in mediazione, così come previsto dal Ddl Pillon (atto Senato 735, in corso d'esame in commissione Giustizia del Senato) sul modello della condizione di procedibilità della mediazione civile e commerciale, la Cattaneo caldeggia l'obbligatorietà almeno dell'informativa, sulla scia del modello inglese, per “costringere” i genitori in guerra a prendere conoscenza dell'altra e più duratura soluzione alla loro incomunicabilità.
L’obbligo di informare
Su questo punto, però, Remo Danovi, presidente dell'Ordine degli avvocati di Milano, anche lui presente al tavolo di confronto sul libro di Scaparro e Vendramini, ha ricordato l'esistenza di un duplice obbligo, di legge e del codice deontologico forense, di informare la parte assistita della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione familiare, che può aiutare i genitori a comprendere come il best interest del minore debba sempre prevalere sui loro contrapposti, anche legittimi interessi. «A fronte di una parziale o apparente rinuncia alle proprie pretese - ha detto Danovi - ciascuno scoprirà presto il beneficio per tutti i componenti, adulti e minorenni, in termini di ben-essere».
E forse potrebbe essere davvero questa la formula, già esistente e praticabile, della “bigenitorialità perfetta”: due genitori che scelgono, grazie al suggerimento del proprio avvocato o del giudice di udienza, di ritrovare un canale di intesa, in nome dei figli, che non li porti in tribunale a spartirsi meticolosamente a metà il tempo da trascorrere con loro, ma li aiuti a essere coesi e collaborativi nell'opera di educazione e aiuto alla crescita.
«Il mediatore non fa psicoterapia – ha aggiunto in conclusione Chiara Vendramini - non fa scuola per genitori, non si sostituisce in alcun modo all'avvocato, ma è un “rianimatore” della comunicazione tra le parti. Semplicemente le aiuta a trasformare il vissuto di “fine del mondo” in un vissuto di “fine di un mondo”». E l'inizio di un altro.