Penale

I maltrattamenti in famiglia aggravati escludono l’attenuante della provocazione

Trattandosi di reato abituale il riconoscimento dell’aver agito in stato d’ira di fronte a un fatto ingiusto altrui equivarrebbe a “scusare” condotte eseguite per motivi di rivalsa e spirito di vendetta

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di Paola Rossi

L’attenuante della provocazione non può essere riconosciuta in caso di reati abituali quali sono i maltrattamenti in famiglia aggravati. È quindi errata la condanna che in una tale fattispecie la riconosca.

Nel caso concreto la Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 28417/2024 - ha perciò completamente rigettato la lamentela del ricorrente contro la condanna per i maltrattamenti in famiglia perpetrati in danno della moglie e alla presenza dei figli minori, ma con il riconoscimento dell’attenuante in parola. In particolare si affermava nel ricorso l’illegittimità della condanna confermata in secondo grado proprio perché gli era stata riconosciuta l’attenuante di aver agito in stato d’ira contro un fatto ingiusto altrui. Infatti, col ricorso veniva addirittura preteso che il riconoscimento dell’attenuante cosiddetta della provocazione avrebbe dovuto condurre a escludere il reato contestato, cioè l’imputabilità stessa per la fattispecie prevista dall’articolo 572 del Codice penale.

La risposta della Cassazione non solo è reiettiva della pretesa difensiva, ma fa rilevare che una volta contestata e accertata una condotta di maltrattamenti in famiglia è un errore del giudice, che emette la relativa condanna, riconoscere contemporanemente l’attenuante della provocazione. Che, val la pena ripeterlo, il ricorrente invocava addirittura per escludere in radice il reato.

Infatti, come spiega la sentenza della Suprema Corte neanche l’attenuante poteva essere riconosciuta in quanto trattandosi di reato abituale si arriverebbe a giustificare come scusabile o legittima una “controreazione” di fatto motivata da spirito di rivalsa o vendetta. Cioè un comportamento moralmente non meritevole di alcun riconoscimento favorevole all’autore delle condotte “vendicative”.

Conclude la Cassazione rispondendo al ricorrente che, al contrario, non ha alcun motivo di lamentarsi della condanna inflittagli per un reato aggravato, con contestuale riconoscimento illegittimo dell’attenuante dell’articolo 62 del Codice penale. Infatti, chiariscono i giudici di legittimità che l’errore “favorevole” all’imputato commesso dal giudice di primo grado avrebbe potuto essere espunto in secondo grado, solo se vi fosse stata specifica impugnazione da parte del procuratore.

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