Stadi di calcio, gli steward non svolgono un pubblico servizio
Per la Cassazione, sentenza n. 23333/2025, accettare soldi per far entrare persone senza biglietto non fa scattare il reato di corruzione mancando la qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio
Non può riconoscersi la qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio allo steward dello stadio, addetto al controllo dei biglietti di accesso agli eventi sportivi. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 23333/2025, annullando la condanna, per il delitto di corruzione propria, di uno steward che aveva fatto entrare delle persone senza biglietto alla partita di calcio Parma-Teramo in cambio di denaro.
Per la Corte di appello la qualifica di incaricato di pubblico servizio derivava dalle funzioni in generale riconosciute agli steward dal Dm 8 agosto 2007 e, dall’art. 6 quater della legge n. 401 del 1989.
La VI Sezione penale dopo aver ricapitolato l’intera normativa applicabile, riassumendo i compiti e le funzioni del personale, osserva che si tratta di una “attività complementare e accessoria rispetto a quella propria delle Forze di polizia”. Aggiungendo che assumono in tal senso “valenza rivelatrice i limitati poteri […] di mera segnalazione di cui sono dotati gli stewart nei riguardi dei trasgressori o degli inadempienti”. Le attività di “prefiltraggio” e di “filtraggio” degli spettatori, del resto (come prevede l’art. 6, comma 2, del Dm 8 agosto 2007) sono svolte “sotto la diretta vigilanza degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza preposti agli specifici servizi, i quali, soli, assicurano gli interventi che richiedono l’esercizio di pubbliche potestà o l’impiego di appartenenti alle Forze di polizia”.
Non solo, l’attività svolta dagli steward “è compiuta su apposita modulistica” predisposta dal delegato alla sicurezza e trasmessa al responsabile del G.O.S. (Gruppo Operativo di Sicurezza)”, l’organismo che opera presso gli stadi per garantire la sicurezza durante eventi sportivi e che è presieduto da un funzionario di Polizia, designato dal questore.
Si tratta, quindi, di attività di vigilanza, di controllo, di segnalazione che, tuttavia, nell’ambito del rapporto privatistico con la società sportiva, non sono caratterizzate dall’esercizio di poteri coercitivi ovvero autoritativi, e, più in generale, dall’esercizio di funzioni pubbliche. Per la Suprema corte, dunque, nell’attività di verifica dei biglietti, lo steward compie “un’attività non documentata, non intellettiva, che in sostanza si realizza attraverso un mero controllo materiale relativo alla disponibilità del titolo di accesso e della conformità della intestazione del titolo con il soggetto che lo possiede”. Un’attività, rispetto alla quale l’agente, “che pure instaura una relazione diretta con il destinatario del servizio, non è in grado di adottare nessun atto conformativo del comportamento di questo, perché, come visto, egli non può che limitarsi, in caso di dissenso, a informare i pubblici ufficiali e, in particolare, le forze dell’ordine”.
“Questo – prosegue la decisione - spiega perché si è ritenuto necessario estendere, limitatamente a specifici reati, la tutela penale prevista per i pubblici agenti”. Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, infatti, l’ampliamento della tutela penale “conferma come i soggetti in questione non siano incaricati di pubblico servizio”. Viceversa, argomenta la Corte, “opererebbe l’ordinario statuto penale dei reati commessi in danno ma anche da parte dei pubblici agenti e non vi sarebbe stata nessuna esigenze di intervenire”.
In definitiva, per quanto riguarda il contestato reato di corruzione, mancando la qualifica soggettiva, la sentenza di condanna va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.