Penale

Immobile abusivo, i problemi di salute non bloccano l’ordine di demolizione

La Cassazione, sentenza n. 23457 depositata oggi, ha chiarito che il principio di proporzionalità al più può incidere sui tempi della fase esecutiva; mentre lo stop ha carattere “eccezionale”

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di Francesco Machina Grifeo

Le esigenze abitative non possono prevalere sull’ordine di demolizione che è da considerarsi irrevocabile, salvo poche eccezioni sostanzialmente legate a esigenze pubbliche o sanatorie. Lo ha chiarito la Corte di cassazione con la sentenza n. 23457 depositata oggi, che accogliendo il ricorso del Pm ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Napoli che, in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva revocato l’ordine di demolizione alla luce della “gravissima situazione clinica della figlia” della richiedente, affetta da autismo; e a fronte di un accertato peggioramento proprio a seguito della necessità di lasciare l’abitazione.

Nel ricorso, il Pm, tra l’altro, ha sostenuto che le condizioni di salute della ragazza non potessero assumere una importanza decisiva, anche considerata la consapevolezza dell’abusività (vista la presentazione di una domanda di condono) e il lasso di tempo intercorso dall’accertamento dell’abuso.

La Terza sezione penale, con una ben motivata decisione segnalata per il “Massimario”, insiste, per un verso, sulla consapevolezza dell’abusività e sulla mancata assunzione di iniziative concrete per sanarla; dall’altra, sul fatto che l’ordine di demolizione integra una misura definitiva che per legge si impone al giudice. Il principio di proporzionalità, dunque, può solo intervenire successivamente alla sentenza di condanna e all’ordine di demolizione, nel delineare la più adeguata esecuzione dell’ordine stesso. In altri termini, l’ordine di demolizione “non può più essere messo in discussione, pena l’arbitraria e non consentita eliminazione di una sanzione amministrativa”.

I soli casi di interruzione definitiva, allora, si ricollegano non già al principio di proporzionalità, quanto piuttosto all’adozione di provvedimenti con esso incompatibili, sul piano giuridico, a partire dalle forme di sanatoria e fino alla ipotesi, ex art. 31 Dpr 380/01, della corretta ed effettiva destinazione a uso pubblico dell’opera edilizia abusivamente edificata.

Dunque, l’ordine di demolizione è passibile di revoca solo quando risulti assolutamente incompatibile con i provvedimenti della Pa che abbiano conferito all’immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l’abusività. In questo senso, prosegue la Corte, depone anche la recente novella dell’art. 31, co. 3, (Dpr 380/01), a opera del Dl 69/2024 (convertito dalla legge 105/2024), che ha “solo” introdotto, a certe condizioni, un possibile, più ampio intervallo di tempo entro cui deve procedersi alla demolizione ordinata dal Comune (240 giorni per comprovate esigenze di salute).

Del resto, la giurisprudenza ha precisato che il diritto all’abitazione non è tutelato in termini assoluti, ma è contemperato con altri valori di pari rango costituzionale. Per cui l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, tutelati dall’art. 8 CEDU.

Ma quali sono le “linee guida”, secondo la Cassazione e le Corti europee, per valutare se il provvedimento sia eseguito in maniera corretta? La decisione li dettaglia: l’esigenza di procedere al bilanciamento dei contrapposti interessi sussiste solo nel caso di demolizione di un manufatto adibito ad abituale residenza; assumono poi rilievo la consapevolezza dell’illiceità dell’intervento edilizio, la gravità dell’illecito; ma anche la tipologia dell’abuso, se di dimensioni tali da farlo ritenere di necessità. È poi necessario che sia trascorso un arco temporale ragionevole fra l’accertamento del reato e l’attivazione della procedura esecutiva, ma contano anche le condizioni personali dell’interessato: età, salute, reddito, senza però che possano assumere “importanza decisiva”. Infine, vanno valutate anche l’indipendenza dell’organo decidente e l’assenza di motivi particolari che spingano per differire la demolizione per mitigarne gli effetti.

Il principio di proporzionalità, dunque, spiega la Corte, “si frappone all’esecuzione dell’ordine di demolizione per ragioni estranee alla adozione dell’ordine stesso; esso non incide nella fase deliberativa dell’ordine, bensì in quella esecutiva”. E non può essere “indiscriminatamente e genericamente” utilizzato per legittimare la violazione dell’ordine di demolizione, perché a tanto si arriverebbe “opponendo sempre e comunque la violazione del domicilio”.

In ultima analisi, conclude la Corte, “la tutela di esigenze abitative e di salute non si rimette alla autorità giurisdizionale mediante una illegale eliminazione di un ordine di demolizione in assenza dei casi, pochi, in cui ciò è possibile, ma si affida al complessivo sistema statale di tutela delle persone, ancor più se disagiate, in uno con gli oneri che eventualmente, se espletati correttamente dagli interessati, possano condurre anche essi a soluzioni definitive e necessariamente comunque legali”.

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