Civile

Il contributo unificato per l’iscrizione della causa al ruolo va alla Consulta

La Cassazione, ordinanza interlocutoria n. 32234 depositata oggi, ha rinviato l’art. 1, co. 812, della legge di Bilancio 2025 (n. 107/2024) in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Costituzione

di Francesco Machina Grifeo

Alla vigilia della approvazione dell’ultima legge di bilancio, l’Avvocatura l’aveva ripetuto in tutti i modi: l’obbligo del versamento del contributo unificato per iscrivere la causa al ruolo, limitando l’accesso alla giustizia, lede principi costituzionali. A quasi un anno di distanza, la Terza sezione civile la pensa allo stesso modo: la norma – si legge nella decisione – “appare dettata dall’unico obiettivo di «fare cassa», esercitando una coazione indiretta a carico di chi intenda avvalersi del servizio giustizia”. La Corte di cassazione, ordinanza interlocutoria n. 32234 depositata oggi, ha così disposto il rinvio alla Consulta dell’art. 1, co. 812, della legge 30 dicembre 2024, n. 107, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Costituzione.

La norma prevede che «nei procedimenti civili la causa non può essere iscritta a ruolo se non è versato l’importo determinato ai sensi dell’art. 13, comma 1, lettera a), o il minor contributo dovuto per legge». Essa dunque, argomenta l’ordinanza, è applicabile anche nel giudizio di Cassazione, perché la parola “causa” ben può essere ritenuta sinonimo di “ricorso”.

E siccome tra i compiti del cancelliere (58 Cpc) vi è anche quello di iscrivere la causa al ruolo, si arriva al paradosso per cui a negare l’accesso alla giustizia non è neppure un giudice ma un dipendente amministrativo. Una situazione intollerabile a cui la Prima Presidente ha rimediato con una circolare (del giugno scorso) che “dando atto della palese inaccettabilità” di una simile lettura, prevede che la cancelleria, verificato il mancato versamento, sia tenuta a trasmettere gli atti alla Sezione «per l’adozione dei provvedimenti giurisdizionali di competenza».

Ciononostante, per la Cassazione, si resta in presenza di una norma che “senza alcuna logica, preclude in radice la stessa possibilità di promuovere un giudizio civile se non previo versamento della somma ivi indicata”. Infatti, prosegue, “non c’è alcun collegamento tra l’imposizione del tributo e un obiettivo di razionalizzazione del servizio giustizia”, né un collegamento con i “pregressi gradi di giudizio”. La norma in questione, del resto, è di applicazione generale, senza alcuna esclusione - neppure dunque per gli ammessi al patrocinio a spese dello Stato - e appare dettata soltanto dal proposito di aumentare le entrate, esercitando però una “coazione” nei confronti di chi ha bisogno di accedere alla giurisdizione.

Con riguardo poi allo specifico giudizio in Cassazione, la Corte rileva che il ricorrente incidentale non pare sottoposto al medesimo obbligo con “un’evidente e ingiusta disparità di trattamento”. Altro punto dolente, la somma da versare è la medesima “a prescindere dal valore dei ricorsi”. Anche quando il valore è “notevolmente elevato” (e l’art. 13, co. 1, del Dpr n. 115 del 2002 fissa il contributo unificato in somme maggiori) è sufficiente il versamento minimo di euro 43 per evitare l’improcedibilità.

Tanto basta al Collegio per ipotizzare la violazione dell’art. 3 Cost., “posto che nulla viene previsto per consentire l’accesso alla giurisdizione a chi sia privo di mezzi”; e degli artt. 24 e 111 Cost., dal momento che la norma “preclude l’accesso alla giurisdizione, in nome di un interesse di natura fiscale, senza che l’onere imposto alla parte abbia un qualche collegamento con il migliore svolgimento della funzione giurisdizionale. Sicché la disposizione appare, in ultima analisi, anche intrinsecamente irragionevole”.

La Cassazione, infine, per non lasciare nulla di intentato, si chiede anche se l’importo richiesto - pari a 43 euro – sia “così modesto” da non poter essere ritenuto di “intralcio alla giurisdizione”. “Seppure in astratto, osserva la Corte, tale ragionamento potrebbe non essere del tutto insostenibile”, tuttavia la legittimità costituzionale di una norma deve essere scrutinata “anche in rapporto ai principi fondanti del nostro ordinamento, fra i quali c’è sicuramente il diritto di accedere alla giurisdizione, che l’art. 24 Cost. riconosce a tutti, garantendo la difesa come «diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento».

“Ne consegue – conclude - che la valutazione sul merito di una scelta del legislatore che tocca un diritto inviolabile non è tra i poteri di questa Corte, potendo solo il Giudice delle leggi compierla secondo una logica di ipotetico contemperamento fra la garanzia del diritto di azione ed i costi che essa ha per la collettività”.

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