Inbox advertising, l’annuncio pubblicitario nell’email gratuita è molesto se ripetuto e non vi è consenso
Si tratta di un uso della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta
La Corte di giustizia afferma che il giudice nazionale deve verificare se integra una comunicazione elettronica sgradita l'invio di annunci pubblicitari con l'apparenza di email nell'indirizzo di posta gratuita che si sostiene con gli introiti della pubblicità. Con la sentenza sulla causa C-102/20 la Corte risponde al quesito pregiudiziale posto dalla Corte federale tedesca.
Il caso esaminato
La vicenda nasce da una vicenda di concorrenza tra due operatori nel settore energetico. Uno dei due aveva commissionato a un'agenzia la diffusione di propri messaggi pubblicitari agli utenti di un servizio di posta elettronica gratuito.
Cioè tramite l'Inbox advertising, che è appunto la visualizzazione nella casella della posta in arrivo di messaggi pubblicitari confezionati in forma "simile" a quella di un vero e proprio messaggio di posta elettronica. Costituendo tale prassi un uso della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta la sua legittimità si fonda sul rispetto delle norme della direttiva 2002/58 relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche. E, in particolare va valutato se si tratti di ripetute e sgradite comunicazioni.
Come spiega la Corte Ue la gratuità della posta elettronica offerta agli utenti non fa venir meno il loro diritto a essere tutelati contro la molestia via email.
Nel caso concreto la Cgue rileva come tali messaggi comportino un rischio di confusione tale da indurre l'utente a cliccare sulla stringa dell'indirizzo Internet corrispondente al messaggio pubblicitario con la conseguenza di venire reindirizzato, contro la sua volontà, a un sito web contenente lo spot di cui trattasi.
Nel caso concreto la visualizzazione dei messaggi-immagine (banner) nelle caselle di posta elettronica avveniva non appena l'utente - scelto in modo aleatorio e non profilato su di sé - apriva la propria casella della posta in arrivo. Unica differenziazione da una normale email stava nell'assenza di data sostituita dalla dicitura "annuncio" e senza menzione di alcun mittente. Differenza visiva - compreso un diverso colore dello sfondo - non sufficiente a escludere un'indebita molestia nelle comunicazioni elettroniche del singolo. La parte "oggetto" dell'email conteneva direttamente l'offerta di prezzi vantaggiosi per il servizio di fornitura elettrica verso un utente che non aveva acconsentito alla ricezione di "inbox advertising" determinando la lamentela dell'operatore concorrente per condotta integrante concorrenza sleale.
Il primo giudice aveva accolto con un provvedimento inibitorio l'istanza, ma il giudice di appello aveva al contrario ritenuto che non fosse integrata alcuna prassi illecita nella diffusione della pubblicità incriminata. La questione giunta fino al giudice di legittimità tedesco ha indotto quest'ultimo a sospendere la decisione ritenendo necessaria l'interpretazione pregiudiziale della Corte Ue. In particolare se e a quali condizioni possa essere compatibile con le norme Ue (direttive 2002/58 e 2005/29) una tale pratica pubblicitaria.
La soluzione della Cgue
La Cgue in risposta al quesito pregiudiziale ha affermato che è compito del giudice nazionale valutare se è rispettato l'obiettivo di proteggere gli abbonati da interferenze nella loro vita privata mediante comunicazioni indesiderate a scopo di commercializzazione diretta, in particolare mediante dispositivi automatici di chiamata, telefax o posta elettronica, compresi i messaggi Sms.
La Corte dichiara che la prassi sotto la lente costituisce un uso della posta elettronica idoneo a compromettere l'obiettivo di tutela degli utenti da interferenze nella loro vita privata mediante comunicazioni indesiderate. E queste possono essere considerate a scopo di commercializzazione diretta in base all'inequivocabile natura pubblicitaria dei messaggi (nel caso concreto di promozione di servizi). Inoltre, la scelta aleatoria dei destinatari non ha rilevanza a escludere l'illiceità della prassi, perché ciò che rileva è che il messaggio raggiunge direttamente e individualmente l'utente o gli utenti.
Infine la Corte Ue afferma che per essere legittimo l'uso della posta elettronica finalizzato alla commercializzazione diretta esso deve essere preventivamente acconsentito dagli abbonati al servizio, anche se gratuito e offerto grazie al sostegno degli operatori commerciali che lo utilizzano per la propria pubblicità. Consenso che deve integrare una libera, specifica e informata manifestazione di volontà.