Civile

L’appello inammissibile del contribuente non interrompe la prescrizione del credito fiscale

In caso di controversia la prescrizione decennale decorre dalla definitività della sentenza di primo grado se l’impugnazione del debitore non è ammissibile e il Fisco non manifesta una volontà di esercizio del diritto

di Paola Rossi

L’interruzione della prescrizione del credito rimane integrata dalla domanda giudiziale proposta dal creditore, che pur sia dichiarata inammissibile, anche in sede di appello, perché la domanda giudiziale manifesta comunque la volontà del creditore di esercitare il suo diritto; diversamente l’interruzione della prescrizione non opera se la domanda giudiziale dichiarata inammissibile sia stata proposta dal debitore, e il creditore non provi di aver provveduto tempestivamente a manifestare la propria volontà di esercitare il diritto. Questo il principio di diritto dettato dalla Corte di cassazione civile con l’ordinanza n. 33003/2025.

Con la decisione la Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle entrate che contestava l’intervenuta prescrizione della cartella di pagamento oggetto della controversia con un contribuente.

Dice la sentenza che a seguito del passaggio in giudicato della sentenza sfavorevole al contribuente sull’atto di accertamento, il termine utile per la notifica della cartella di pagamento è quello decennale previsto dall’articolo 2953 del Codice civile (effetti del giudicato sulle prescrizioni brevi) che letteralmente dispone: “I diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni”.

Va, infatti, escluso che il diritto alla riscossione di un’imposta, azionato mediante emissione di cartella di pagamento e fondato su un accertamento divenuto definitivo a seguito di sentenza passata in giudicato, sia assoggettato ai termini di decadenza di cui all’articolo 25 del Dpr 602/1973.

Prescrizione decennale da actio iudicati

Per regola generale, la prescrizione decennale da actio iudicati decorre, non dal giorno della pubblicazione della sentenza, ma dal momento del suo passaggio in giudicato e, se appellata, da quando, con la necessaria declaratoria giudiziale, si dà luogo all’effetto processuale che rende definitiva la decisione.

La questione concreta sottoposta all’attenzione della Suprema Corte è quella di stabilire quale sia la regola da applicare nell’ipotesi in cui l’appello sia stato proposto tardivamente, e non dalla parte creditrice, bensì da quella debitrice.

La Cassazione decide partendo dalla propria giurisprudenza secondo cui - in via generale - l’inammissibilità della domanda giudiziale, qualunque ne sia la causa, non esclude l’efficacia interruttiva della prescrizione del diritto che si voleva far valere. Efficacia che permane fino al giudicato.

La prescrizione - come ribadisce la sentenza - è un diritto disponibile, e deve pertanto essere esercitato dalla parte creditrice, la quale intenda evitare il suo compiersi.

Il caso dell’azione promossa dal debitore

Però come nel caso risolto, il giudizio d’appello dichiarato inammissibile a causa della sua tardiva proposizione non è stato introdotto dal creditore/ente impositore, ma dal debitore. Ciò che non interrompe il decorso prescrizionale in assenza di manifestazione del creditore di voler affermare il proprio diritto. La sentenza di primo grado era dunque divenuta definitiva e costituiva il punto di partenza dello scorrere dei 10 anni del termine.

In effetti gli enti impositori ricorrenti ora in cassazione non avevano dimostrato di avere richiesto il pagamento del credito mediante un qualsiasi atto rilevante (ad esempio, la messa in mora del debitore) prima che la prescrizione decennale si compisse a seguito della definitività della sentenza di primo grado.

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