Amministrativo

L’intelligenza artificiale nella PA: verso la “decisione algoritmica” ma solo con nuove competenze

Il percorso evolutivo che ha segnalo la giurisprudenza amministrativa ha consetito di passare da un primo diniego ostativo alla leicità nell’uso dell’algoritmo, dettando un perimetro di sicurezza. Ma il passo verso i sistemi di “seconda fascia” si misura, ora, con l’esigenza di nuove competenze ibride, capaci di coniugare il sapere tecnologico con quello giuridico

Future innovative concept of efficient and fair justice system with closeup robotic hand holding gavel as artificial intelligence in transparent judicial proceedings by an AI judge. Equilibrium

di Riccardo Perlusz*

Se quanto finora delineato sarà attuato, la Pubblica Amministrazione sarà chiamata a sostenere nei prossimi anni significativi investimenti organizzativi ed economici in Intelligenza Artificiale (IA). Le strategie comunitarie, promosse dal legislatore europeo, indicano chiaramente questa direzione. Ne sono esempio gli articoli 57-63 del Regolamento (UE) 2024/1689, dedicati alle “misure a sostegno dell’innovazione”.

Anche sul fronte nazionale, il disegno di legge n. 2316 (“Disposizioni e deleghe al Governo in materia di intelligenza artificiale”), con particolare riferimento all’articolo 14 e seguenti, preannuncia una nuova stagione di riforme e iniziative nei ministeri per implementare soluzioni IA.

L’integrazione di questa tecnologia nei processi della PP.AA. non è tuttavia un’opzione, ma un obbligo evolutivo, coerente con i principi di buon andamento, efficienza ed economicità sanciti dall’art. 97 della Costituzione e dall’art. 1 della legge n. 241/1990.

Il percorso di digitalizzazione delle amministrazioni, iniziato con il d.lgs. 7 marzo 2005 n. 82 (Codice dell’Amministrazione Digitale – CAD), ha già modificato profondamente l’approccio amministrativo, privilegiandol’uso di strumenti telematici nei rapporti interni e verso i cittadini, come previsto dall’art. 3-bis della legge n. 241/1990, aprendo in tal modo la strada ad un inarrestabile, seppur lento, avvio verso la cittadinanza digitale.

Ed è un traguardo collettivo, perché avvicinare il servizio pubblico al cittadino, rendere fruibili nuovi servizi ad alto valore riducendo contestualmente i relativi costi per mezzo delle tecnologie esponenziali di cui IA rappresenta certamente la punta di diamante. Ma è tutt’altro che semplice: permangono infatti limiti infrastrutturali, difficoltà negli investimenti e un deficit di competenze, di esperienze e di progettualità. A questi fattori poi si sommano le incertezze normative, che spesso inducono maggior cautela nelle scelte di sviluppo, questa volta sia nel pubblico, quanto nel settore privato.

Se adeguare la nostra pubblica amministrazione a modelli di automazione dei propri processi, non è cosa semplicissima, riuscire a portarla a livelli più elevati, innestando componenti basati su agenti di AI nella decisione procedimentale, sembrerebbe essere un’operazione ancora più ambiziosa.

La PP.AA dispone ad oggi di un ampio ventaglio di soluzioni “di prima fascia”, in parte già sperimentate. Questi possono automatizzare compiti ripetitivi a basso valore aggiunto, come la gestione delle pratiche, il controllo dei documenti, l’elaborazione delle richieste riducendone i tempi delle procedurali e migliorando l’efficienza operativa degli uffici. La ricaduta non è in verità da sottovalutare perché consente di assegnare risorse umane ad attività di maggiore rilevanza. In alcuni servizi online, inoltre, sono comparsi assistenti virtuali e chatbot che forniscono informazioni su procedure amministrative, orari di ufficio, regolamenti e normative, migliorando l’accesso alle informazioni per i cittadini. Per l’infrastruttura interna invece l’IA può anche essere utilizzata per analizzare grandi quantità di dati e identificare modelli predittivi fornendo dati e informazioni utili a migliorare i processi decisionali e pianificare al meglio le politiche pubbliche.

Ma la vera sfida, quella più ambiziosa, è riuscire a passare ad un livello superiore nell’utilizzo di queste tecnologie ed arrivare all’uso dell’intelligenza artificiale nei procedimenti, sia a supporto della decisione del funzionario sia in modo integralmente sostitutivo della decisione umana. È il passo successivo nell’applicazione del IA, una“seconda fascia” di paradigmi collaborativi nel lavoro e nell’interazione dell’amministrazione con la tecnologia. Certamente il più ambito per i possibili ritorni previsti. Dal positivo risultato di queste esperienze già avvenute nelle aziende private, la IA potrebbe essere oggi utilizzata per atti a bassa discrezionalità o di mera natura tecnica, anche in considerazione del fatto che eventuali difformità o vizi troverebbero soluzione nelle regole generali di invalidità e responsabilità vigenti nella norma L. 241/1990.

La giurisprudenza amministrativa si è dimostrata antesignana e fondamentale per l’evoluzione in questa direzione, affrontando il tema con alcune pronunce, che a partire dal 2019 hanno segnato un percorso evolutivo è hanno consentito di passare da un primo diniego ostativo, alla leicità nell’uso del l’algoritmo, dettandone inoltre un perimetro di sicurezza in cui inserirlo.

Il percorso inizia con l’ormai nota sentenza numero 10964/2019 del TAR Lazio, Sez. III bis che si è pronunciato in merito alla procedura di assegnazione di docenti alle sedi disponibili nell’organico dell’autonomia della scuola, laddove era stato demandato ad un algoritmo, lo svolgimento della procedura di attribuzione delle cattedre, rilevando la mancanza di una vera e propria attività amministrativa. Per il Collegio, che in questa pronuncia ha seguito una impostazione restrittiva, alle procedure automatizzate andava riservato il solo ruolo strumentale nell’ambito di un procedimento amministrativo condotto comunque da un funzionario incaricato. L’algoritmo, quindi, non poteva sostituire l’istruttoria umana e l’informatica veniva compresa in un ruolo meramente ausiliario in seno al processo amministrativo.

Tuttavia, non molto tempo dopo, con le tre sentenze 8472, 8473, 8474/2019 la sesta Sezione del Consiglio di Stato, ammette di contro l’uso dell’algoritmo nel processo decisionale amministrativo, anche per attività discrezionale.

Secondo il Collegio, vi è infatti la generale ammissibilità di strumenti di IA, non sussistendo ragioni di principio per limitarne l’utilizzo all’attività amministrativa vincolata e altresì discrezionale. Si tratta infatti di attività autoritativa svolta nel perseguimento del pubblico interesse che comporta una fase di accertamento e di verifica da parte dell’organo titolare del potere degli elementi di minima garanzia degli strumenti usati, quali la conoscibilità del processo informatico utilizzato e dei criteri applicati secondo il principio della trasparenza. In linea con questi elementi si deve poter svolgere la necessaria verifica, legittimando la scelta e gli esiti affidati all’algoritmo.

Per il Consiglio di Stato in pratica vi è quindi la necessità espressa che la “formula tecnica”, che rappresenta l’algoritmo, sia accompagnata da elementi che consentano al revisore la piena rilevabilità della “regola giuridica” che il programma informatico nelle sue istruzioni è chiamato ad applicare. Ciò al fine di renderlo leggibile, comprensibile e quindi “conoscibile e sindacabile”.

Il ricorso all’algoritmo, a questo punto accettato dalla giurisprudenza del Consiglio, va infatti correttamente inquadrato come strumento procedimentale e istruttorio, soggetto quindi alle verifiche tipiche di ogni procedimento amministrativo, rendendo opportuno quindi un suo disegno e sviluppo che tenga conto sia della dimensione digitale che di quella giuridica e normativa, da cui di fatto lo sviluppo deve derivare. Un modo diverso, meno generalista di progettare e realizzare in codice, strumenti applicativi per la PP.AA. Non possiamo che sottolineare come emerge con forza ancora una volta, l’esigenza di nuove competenze ibride, capaci di coniugare il sapere tecnologico con quello giuridico, per garantire legalità, trasparenza e controllo effettivo dei processi automatizzati.

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*Riccardo Perlusz, Pollicino Advisory & Partners

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