Civile

L'occupazione illegittima obbliga la Pa a risarcire il danno e ripristinare il diritto

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di Paola Rossi

Non scatta usucapione del fondo occupato dal Comune se non ci sono concreti atti di opposizione contro il proprietario-possessore restando, in tal caso, irrilevanti il decorso del tempo e l'aver realizzato atti di esercizio del possesso. Ed essendo ormai superata, dalla giurisprudenza sovranazionale (Cedu) e nazionale, la distinzione tra occupazione usurpativa e acquisitiva si può affermare che, in entrambi i casi, ciò che rileva è il comportamento illecito della Pa, cui consegue la responsabilità aquiliana che obbliga al risarcimento del danno, se possibile in forma specifica. La Corte di cassazione con la sentenza n. 14657 depositata ieri ha così respinto sia la pretesa di un Comune di far valere il distinguo tra le pretese diverse conseguenze delle due ipotesi illecite sia, in primis, l'affermazione della già avvenuta usucapione del fondo della controparte privata.

La vicenda - Nel caso specifico l'occupazione comunale era stata catalogata dal giudice di merito come usurpativa, per l'assenza della dichiarazione di pubblica utilità. Mentre il Comune riteneva che tale qualificazione fosse un errore del giudice che avrebbe dovuto individuare nella vicenda un caso di occupazione acquisitiva (o appropriativa o accessione invertita) con conseguente ristoro del danno. La Cassazione richiamando un proprio precedente del 2018 (la decisione n. 10298) ribadisce l'irrilevanza del tipo di condotta illecita della Pa, incidente sul diritto di proprietà privata, che in quanto tale determina la responsabilità risarcitoria ex articolo 2043 del Codice civile. Viene poi ricordato che la distinzione cui si appellava il Comune non è più sussistente a seguito della giurisprudenza demolitoria della Corte europea dei diritti dell'uomo e non rilevano quindi più il carattere usurpativo (per assenza della dicharazione di pubblica utilità) o quello appropriativo (dovuto alla mancanza del decreto di esproprio). Anche prima di tale superamento, precisa la Cassazione, che ciò che rileva in tali casi è la violazione del principio di legalità da parte della pubblica amministrazione, come appunto affermato dalla Cedu che ha escluso che la Pa possa privare della proprietà un privato mettendo in atto un'attività illecita. E se ciò avviene valgono le regole poste dal Codice civile in materia di risarcimento del danno per fatto illecito, ove rileva anche solo il comportamento colposo, e con la possibilità di ripristinare il diritto leso. Per cui al privato va riconosciuto il risarcimento del danno e la tutela reale. Quindi in presenza o meno della dichiarazione di pubblica utilità le conseguenze sono le medesime e la proprietà non si trasferisce di per sé alla parte pubblica.

L'usucapione - E nemmeno scatta l'usucapione. Il Comune aveva, infatti, vantato tale titolo acquisitivo della proprietà, per aver esercitato atti di possesso sul bene e per un lungo arco di tempo (ultraventennale). La sentenza rileva che quale che sia la condotta illecita della Pa l'usucapione trova fondamento nel compimento di specifiche attività materiali di opposizione rivolte proprio contro il proprietario-possessore. Nella vicenda era stata in contestazione solo la ritualità dell'eccezione di usucapione, che comunque mancava - fa rilevare la Cassazione con una formula integrativa - dell'allegazione dell'avvenuta trasformazione della detenzione in possesso utile a usucapire ex articolo 1141, comma 2, del Codice civile.

Corte di Cassazione – Sezione I – Sentenza 29 maggio 2019 n. 14657

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