Civile

L’utilizzo di software abusivi viola il diritto d’autore e non la concorrenza

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di Giovanbattista Tona

La riproduzione, la detenzione e l’utilizzazione non autorizzata di software di proprietà altrui senza avere stipulato un contratto di licenza integra sia l’illecito civile previsto dall’articolo 64bis della legge 633/1941 per la tutela del diritto d’autore sia l’illecito penale previsto dall’articolo 171bis della stessa legge. Il titolare del programma può quindi richiedere il risarcimento del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale.

Non può invece richiedere nè il risarcimento del danno per la violazione dei marchi, perché il loro utilizzo è assorbito dalla condotta illecita generata dall’impiego dei software illecitamente duplicati, nè il risarcimento per concorrenza sleale, quando la lesione non è ancorata ad ulteriori e specifici fatti e pregiudizi.

Lo ha stabilito la sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale di Roma con la sentenza n.285 depositata lo scorso 8 gennaio.

Utilizzo di programma altrui

La vicenda nasce da un caso paradigmatico, con il ricorso di una società produttrice di programmi per computer contro alcune imprese che utilizzavano senza licenza i software di cui era titolare.

La ricorrente rivendicava di essere titolare di tutti i diritti di autore su ciascun programma di sua produzione in base agli articoli 12 e 12 bis della legge 633/1941. Dalla titolarità esclusiva dei diritti di utilizzazione dei software derivava sulla base dell’articolo 64 bis della legge 633/1941 che la loro riproduzione in qualsiasi forma doveva essere autorizzata dal produttore o comunque doveva essere conforme al contratto di licenza d’uso stipulato tra il produttore e l’utilizzatore.

Peraltro i programmi riprodotti contenevano marchi e loghi appartenenti al produttore dei software e venivano visualizzati sugli schermi dei computer sia prima sia durante l’utilizzo del prodotto. Questo comportava la loro riproduzione e utilizzazione illecita, proprio perché apposti su prodotti non originali.

La riproduzione e l’utilizzo non autorizzato, secondo la ricorrente, sono comportamenti che alterano la concorrenza, rilevanti e risarcibili in base all’articolo 2598 del codice civile, che considera atti di concorrenza sleale l’uso di nomi e segni distintivi idonei a produrre confusione con nomi e segni legittimamente utilizzati da altri o imita servilmente i prodotti di un concorrente.

Marchi e concorrenza

Al Tribunale di Roma veniva quindi richiesta la liquidazione di quattro voci di danno: quello patrimoniale per la lesione del diritto di utilizzo esclusivo dell’opera dell’ingegno, quello non patrimoniale per il reato di abusiva duplicazione dei programmi (articolo171-bis della legge 633/1941 ), quello pure patrimoniale derivante dalla violazione dell’esclusiva sui marchi e infine il danno da concorrenza sleale. Di queste voci sono state liquidate solo le prime due: quello per diritto di utilizzo esclusivo e quello derivante da reato.

Secondo i giudici romani utilizzare marchi riprodotti unitamente al programma non comporta invece un autonomo pregiudizio poiché la condotta di utilizzazione del programma riprodotto non può essere separata da quella del marchio.

Il tribunale sostiene inoltre che la duplicazione abusiva senza licenza non incide sulla concorrenza tra imprese ma pregiudica direttamente l’impresa titolare dell’opera dell’ingegno. I giudici romani non motivano particolarmente questa scelta ma appare chiaro che l’illecito anticoncorrenziale si addice al comportamento di un’impresa che produce beni della stessa tipologia del titolare del diritto di utilizzazione e non a quello di chi li riproduce per evitare di acquistarli.

Risarcimento del danno

I giudici romani traggono i criteri di liquidazione dell’articolo 158 comma 2 della legge 633/1941 secondo il quale il lucro cessante deve tener conto degli utili realizzati in violazione del diritto. Il giudice può anche liquidare il danno in via forfettaria basandosi sull’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, se l’autore avesse chiesto l’autorizzazione per l’utilizzazione del diritto.

Il Tribunale ha utilizzato quindi il listino prezzi dei software, ha moltiplicato i singoli importi per il numero delle licenze che gli utilizzatori avrebbero dovuto acquistare e vi ha infine aggiunto le spese sostenute per l’accertamento dell’illecito e per il ripristino delle connesse lesioni subite.

Il danno da reato è stato invece calcolato in via equitativa.Il Tribunale ha ritenuto, ai fini del risarcimento, che la riproduzione illecita dei programmi da parte di un'impresa integri il reato di cui all’articolo 171bis della legge 633/41. In realtà la Cassazione penale (sentenza 3402/2014) ha precisato che il reato di illecita importazione, distribuzione, vendita, detenzione, concessione in locazione di programmi per elaboratore elettronico ha ad oggetto esclusivamente programmi contenuti su supporti privi del contrassegno Siae e non anche quelli abusivamente duplicati.

Le norme e la giurisprudenza

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