La crisi taglia i redditi: si adeguano gli assegni di separazione e divorzio
I giudici si pronunciano sulle richieste di revisione per le perdite subite dai coniugi
La crisi economica legata all’emergenza sanitaria sta ricadendo anche sull’assegno di separazione e su quello divorzile. Sono infatti stati molti gli ex partner a chiedere la revisione delle condizioni di separazione o di divorzio, dopo aver subito la riduzione dei redditi a causa del lockdown. Lo testimonia il fatto che numerose, tra le recenti pronunce dei giudici di merito e della Cassazione, hanno deciso domande di modifica delle disposizioni già stabilite sull’assegno.
Per l’assegno divorzile occorre anche considerare un altro elemento: le decisioni di revisione degli assegni sono in aumento anche perché i giudici stanno “disapplicando” il concetto del tenore di vita nella quantificazione del contributo, adeguandosi ai principi affermati dalle Sezioni unite della Cassazione con la sentenza 18287 del luglio 2018. Nelle pronunce, viene spesso ricordato che l’assegno divorzile ha il compito di assicurare all’ex coniuge un contributo per colmare la disparità tra le condizioni reddituali di marito e moglie, che va valutata in prospettiva post matrimoniale «perché l’assegno divorzile possa assolvere alla propria funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa» rispetto alle pregresse condizioni di vita.Analisi compiuta, tra gli altri, dalla Corte d’appello di Ancona che, nella sentenza 939 del 15 luglio 2020, ha analizzato la richiesta dell’assegno divorzile alla luce della composizione di quella specifica famiglia, formata da quattro persone, i genitori e due figli. Una situazione in cui l’attività casalinga svolta dalla madre può essere considerata come un implicito sacrificio delle sue aspirazioni alla realizzazione lavorativa in un ambito extra familiare, che le ha precluso l’autonomia economica. Per questo i giudici hanno riconosciuto all’ex moglie il diritto all’assegno divorzile.
L’assegno di separazione (o di mantenimento), invece, è rimasto indenne dall’evoluzione giurisprudenziale che ha coinvolto l’assegno divorzile, conservando la sua natura, legata agli obblighi di sostegno assunti con il matrimonio e ancora in vita nonostante la separazione. Tuttavia, anche qui i giudici di merito chiamati a decidere sull’assegno hanno dovuto fare un lavoro di analisi e comparazione delle situazioni economiche e reddituali dei coniugi. Questo perché, nell’esaminare la richiesta del contributo, devono essere considerate le oggettive condizioni reddituali delle parti nel momento attuale, segnato dalla crisi lavorativa dovuta all’emergenza sanitaria. Nei fatti, quindi, se la crisi ha colpito i redditi dei coniugi facendo venir meno lo squilibrio patrimoniale che esisteva in precedenza, l’assegno di mantenimento non viene riconosciuto (Tribunale di Ancona, sentenza 851 del 1° luglio 2020). Mentre il contributo è assegnato se, ad esempio, a causa della crisi un coniuge ha perso il lavoro e l’altro può contare su altre risorse patrimoniali (Tribunale di Torino, sentenza 1686 del 1° giugno 2020).
Ma quando scatta la “staffetta” tra l’assegno di mantenimento e quello divorzile? La questione è stata riepilogata di recente dalla Cassazione con l’ordinanza 19330 del 17 settembre 2020. L’assegno divorzile, ha chiarito la Suprema corte, decorre dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio. La legge 74/1987 ha poi introdotto un temperamento a questo principio, consentendo al giudice di disporre, in relazione al caso concreto, e anche in mancanza di una specifica richiesta, una diversa decorrenza dell’assegno divorzile, anticipandone gli effetti al tempo della domanda; ma si tratta di una possibilità che per poter validamente essere disposta necessita di una specifica adeguata motivazione. Va quindi cassata la pronuncia d’appello che ha fatto decorrere l’assegno divorzile dalla data della domanda senza una adeguata motivazione.
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