La Giurisdizione sulle "discriminazioni" appartiene sempre al Giudice Ordinario
La Corte di appello di Brescia ha esaminato il caso di una cittadina del Marocco residente in Italia con permesso di soggiorno di lungo periodo
In tema di azioni contro le discriminazioni razziali sussiste in ogni caso la giurisdizione del Giudice ordinario poiché la posizione del soggetto ha consistenza di "diritto assoluto" rispetto a qualsiasi tipo di violazione posta in essere, sia da privati, sia dalla pubblica amministrazione. In altre parole non assume rilievo che la condotta lesiva sia stata attuata nell'ambito di un procedimento nel quale il privato possa essere titolare di posizioni di interesse legittimo. Con la recente sentenza del 25 marzo scorso, la Corte di Appello di Brescia ha ribadito che quando si agisce con l'azione di discriminazione prospettando una posizione soggettiva - indifferentemente di diritto soggettivo o di interesse legittimo - lesa dalla violazione del divieto di disparità in relazione ad uno dei fattori protetti (quali ad esempio la nazionalità), la posizione va comunque qualificata come di diritto soggettivo, con conseguente sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario anche quando vengano in rilievo atti amministrativi.
Il Giudice amministrativo quale "giudice naturale" della legittimità degli atti
Nell vicenda affrontata dalla Corte di Appello di Brescia, una cittadina del Marocco residente in Italia, titolare di regolare permesso di soggiorno di lungo periodo, aveva agito per ottenere l'accertamento del carattere asseritamente discriminatorio della condotta tenuta dalla Regione. Condotta consistente nell'averle negato la prestazione del cosiddetto bonus famiglia, sul presupposto dell'insussistenza del requisito della residenza continuativa nella Regione di entrambi i genitori per almeno cinque anni. La cittadina straniera agiva e vinceva in primo grado; dal che la Regione ricorreva in appello lamentando che il Tribunale non aveva rivelato il proprio difetto di giurisdizione, essendo il giudice amministrativo il "giudice naturale" per giudicare della legittimità degli atti amministrativi anche dal punto di vista della violazione del principio di parità di trattamento. Ciò, tanto più che il Tribunale non aveva limitato il proprio giudizio ad un profilo di discriminazione concreta, ma aveva valutato la ragionevolezza dell'atto amministrativo con riferimento al requisito della residenza continuativa nella Regione, così sindacando persino "il merito" delle scelte della pubblica amministrazione.
La disciplina contro le discriminazioni
Il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione stabilisce che quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il giudice può ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti della disparità di trattamento. Il modello di azione delineato dal suddetto Tu è richiamato anche dalla disciplina di attuazione della direttiva 2000/43/CE sulla parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, formando insieme con le altre fonti sovranazionali e comunitarie un unico "complesso normativo antidiscriminatorio".
Il diritto soggettivo "assoluto" del soggetto discriminato e la giurisdizione del Giudice ordinario
La richiamata normativa, al fine di garantire la parità di trattamento in termini incisivi e circostanziati, e correlativamente vietare discriminazioni ingiustificate con riferimento a fattori meritevoli di particolare considerazione, sulla base di indicazioni costituzionali o fonti sovranazionali articola disposizioni di divieto di discriminazioni e contemporaneamente impianta strumenti processuali speciali per la loro repressione, affidandoli al giudice ordinario. Deve pertanto ritenersi che il legislatore abbia inteso configurare, a tutela del soggetto potenziale vittima di disparità di trattamento, una specifica posizione di diritto soggettivo, precisamente qualificabile come "diritto assoluto", in quanto tale tutelabile davanti al giudice ordinario quale presidio di "libertà" rispetto a qualsiasi tipo di discriminazione. Deriva che se la posizione tutelata assurge a diritto assoluto, simmetricamente possono qualificarsi come fatti illeciti i comportamenti di mancato rispetto del diritto in parola. E ciò fa sì che il contenuto e l'estensione delle tutele conseguibili in giudizio presentino aspetti di variabilità in dipendenza del tipo di condotta lesiva posta in essere. Di ciò si trova riscontro nello stesso dettato normativo secondo cui il giudice può ordinare la cessazione del comportamento improprio oltre che condannare il responsabile al risarcimento del danno. Per altro verso, lo stesso Tu richiamato, con il riferimento incondizionato a comportamenti sia di privati che della pubblica amministrazione non consente di escludere l'esperibilità delle azioni ivi previste solo perché la Pa abbia attuato la discriminazione attraverso atti regolamentari, rispetto ai quali il privato può anche non fruire di posizione di diritto soggettivo bensì di interesse legittimo.
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Norme & Tributi Plus Dirittoa cura della Redazione di PlusPlus24 Diritto
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