La mancata acquisizione del consenso informato del paziente da diritto al risarcimento
Onere del danneggiato fornire la prova della lesione
Può e deve riconoscersi all'omissione del medico di acquisire il consenso informato del paziente un'astratta capacità plurioffensiva, potenzialmente idonea a ledere due diversi interessi sostanziali, diritto all'autodeterminazione e diritto alla salute, entrambi suscettibili di risarcimento, qualora sia fornita la prova che dalla lesione di ciascuno di essi siano derivate specifiche e distinte conseguenze dannose.
Il fatto
Adita in materia di malpractice medica (avuto riguardo ad una vicenda in cui una paziente lamentava di aver riportato una grave lesione arteriosa in occasione di un intervento chirurgico) la Corte d'Appello di Cagliari, (sentenza 194/2023) nel confermare l'impugnata sentenza, argomenta (tra l'altro) in merito al consenso informato.
Il consenso informato
In via generale può dirsi che il consenso informato legittima il trattamento sanitario, poiché, senza di esso, l'intervento del medico è (eccettuati i casi di trattamento sanitario obbligatorio o di stato di necessità) sicuramente illecito, anche quando sia nell'interesse del paziente ed anche quando sia stato correttamente eseguito (Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2021, n. 27268; Trib. Roma, sez. XIII, 8 settembre 2021; Cass. civ., sez. III, 4 novembre 2020, n. 24471).
Secondo la Corte Costituzionale (sentenza n. 438/2008) il consenso informato è espressione di una consapevole e cosciente adesione del paziente al trattamento sanitario proposto dal medico e si configura come un vero e proprio diritto della persona, che trova fondamento nei principi espressi nell'articolo 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli articoli 13 e 32 Cost., secondo cui la libertà personale è inviolabile e nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
Quanto alle modalità ed ai caratteri, il consenso deve essere, innanzitutto, personale, nel senso che deve provenire dal paziente (ad esclusione evidentemente dei casi di incapacità di intendere e volere del paziente); deve, poi, essere specifico ed esplicito, oltre che reale ed effettivo, nel senso che non è ammissibile il consenso presunto; ancora, nei casi in cui ciò sia possibile, deve essere anche attuale.
Infine, il consenso deve essere pienamente consapevole, ossia deve essere "informato", dovendo cioè basarsi su informazioni dettagliate fornite dal medico.
Sotto il profilo probatorio, si deve precisare che la prova del consenso, in caso di impossibilità di prova documentale, può essere fornita con altri mezzi.
Il consenso informato non richiede la prova scritta ad substantiam, richiede – come si è già detto – una manifestazione di volontà personale, consapevole, reale.
Quando deve essere espresso in forma scritta
In tal senso rileva l'articolo 35, II, Codice di deontologia medica secondo cui il consenso viene espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sull'integrità fisica si renda opportuna una manifestazione documentata della volontà della persona.
In linea generale, dunque, opera il principio di libertà della forma, salvi i casi in cui, per ragioni di opportunità o di certezza del diritto, si richieda una forma particolare.
Il Legislatore, da parte sua, ha previsto espressamente la forma scritta del consenso informato in alcuni casi particolari, quali:
a) trapianto del rene tra persone viventi (articolo 2 legge n. 458/1967);
b) sperimentazione clinica di medicinali ad uso umano (articolo 2, lett. l, Dlgs n. 211/2003);
c) procreazione medicalmente assistita (circa la volontà di entrambi i soggetti della coppia) (articolo 6 legge n. 40/2004);
d) interruzione volontaria della gravidanza (articolo 14 legge n. 194/1978);
e) rettificazione in materia di attribuzione di sesso (articolo 2 legge n. 164/1982);
f) attività trasfusionali (legge n. 107/1990);
g) prelievo per donazione del sangue (legge n. 219/2005).
Le patologie tumorali
Di recente la giurisprudenza ha osservato che non si configura lesione del consenso informato nei casi in cui l'intervento di asportazione di un nodulo sia indicato come opportuno, o necessario, dai medici per la sospetta natura "maligna" della formazione sol perchè dai controlli istologici successivi emerga la natura "benigna" del tumore.
Ai fini della corretta prestazione del consenso informato in relazione ad operazione chirurgica da patologia tumorale è necessario, e al contempo sufficiente, che i medici espongano le caratteristiche dell'intervento ed esplicitino il loro parere sulla sua opportunità o necessità, ben potendo, sulla base delle conoscenze tecnico scientifiche dell'epoca dell'intervento, essere impossibile conoscere con certezza a priori la natura, benigna o maligna, della patologia tumorale, diagnosticabile con esattezza solo a posteriori, a mezzo dell'esame istologico del materiale asportato (Cass. civ., sez. III, ord. 9 maggio 2023, n. 12411).
Né può dirsi avere ragione di esistere "un consenso informato al differimento di un intervento già deciso ed assentito" (Cass. civ., sez. VI - 3, ord., 9 dicembre 2021, n. 39084).
Ai fini della responsabilità del sanitario per violazione dell'obbligo del consenso informato (Trib. Firenze, sez. II, 20 settembre 2021, n. 2309) non rileva se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno.
Ciò che rileva è che il paziente, a causa del deficit di informazione, non sia stato messo nella condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica.
I confini del diritto al risarcimento
Con la precisazione che l'inadempimento qui in esame può assumere rilievo a fini risarcitori - anche in assenza di un danno alla salute o in presenza di un danno alla salute non ricollegabile alla lesione del diritto all'informazione - a condizione che sia allegata e provata, da parte dell'attore, l'esistenza di pregiudizi non patrimoniali derivanti dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione in sé considerato, sempre che essi superino la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale e non siano futili, ovvero consistenti in meri disagi o fastidi (Trib. Firenze, sez. IV, 17 maggio 2023, n. 1481; Cass. civ., sez. III, ord. 22 agosto 2018, n. 20885).
E così (Cass. civ., sez. III, ord. 11 maggio 2023, n. 12954; Trib. Milano, sez. I, 2 marzo 2023, n. 1665):
1) qualora venga allegato e provato, come conseguenza della mancata acquisizione del consenso informato, unicamente un danno biologico, ai fini dell'individuazione della causa immediata e diretta (ex art. 1223 c.c.) di tale danno-conseguenza, occorre accertare, mediante giudizio controfattuale, quale sarebbe stata la scelta del paziente ove correttamente informato, atteso che, se egli avesse comunque prestato senza riserve il consenso a quel tipo di intervento (o di cure), la conseguenza dannosa si sarebbe dovuta imputare esclusivamente alla lesione del diritto alla salute, se determinata dalla errata esecuzione della prestazione professionale; mentre, se egli avrebbe negato il consenso, il danno biologico scaturente dalla inesatta esecuzione della prestazione sanitaria sarebbe riferibile "ab origine" alla violazione dell'obbligo informativo, e concorrerebbe, unitamente all'errore relativo alla prestazione sanitaria, alla sequenza causale produttiva della lesione della salute quale danno-conseguenza;
2) le conseguenze dannose che derivino, secondo un nesso di regolarità causale, dalla lesione del diritto all'autodeterminazione, verificatasi in seguito ad un atto terapeutico eseguito senza la preventiva informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli, e dunque senza un consenso legittimamente prestato, devono essere debitamente allegate dal paziente, sul quale grava l'onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico, tenuto conto che il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla sua scelta soggettiva (vicinanza della prova), essendo il discostamento dalle indicazioni terapeutiche del medico eventualità non rientrante nell'id quod plerumque accidit. La relativa prova può essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, non essendo configurabile un danno risarcibile in re ipsa derivante esclusivamente dall'omessa informazione.