Immobili

Locazioni, alle Sezioni unite la cedolare secca sulle case ad uso foresteria

Dopo il “sì” della Cassazione dello scorso anno, il “no” del Mef, la Sezione tributaria, ordinanza n. 30016, ha disposto il rinvio della questione al massimo consesso

di Francesco Machina Grifeo

Saranno le Sezioni unite a stabilire una volta per tutte se la cedolare secca sugli affitti sia applicabile anche nel caso di abitazioni locate ad uso foresteria dalle società per i propri dipendenti. Con la sentenza n. 12395 del 2024 (seguita da altre due decisioni n. 12076 e 12079 del 2025), la Suprema corte, con un principio di diritto, aveva riconosciuto il canone flat anche nel caso in cui concludere il contratto di locazione “ad uso abitativo” sia una una impresa nell’esercizio della sua attività professionale. Il Fisco, tuttavia, non si è mai adeguato. E la Sezione tributaria, con l’ordinanza n. 30016/2025, ha rimesso il quesito al massimo consesso.

Nell’aprile scorso, il Mef, rispondendo ad una interrogazione parlamentare, aveva ribadito il “no” alla cedolare in attesa della “formazione di un consolidato indirizzo interpretativo, anche a tutela delle esigenze di gettito erariali”. A fine settembre, il Ministro dell’Economia Giorgetti, interrogato nuovamente sulla questione, ha ribadito la posizione. “Secondo le Entrate – ha detto - il recente orientamento di legittimità risulterebbe non del tutto condivisibile” in quando l’applicazione della tassa piatta resterebbe una “eccezione” come provato dalla deroga espressa, introdotta in un secondo momento, per le sole cooperative edilizie che (sub)affittano a studenti universitari.

Il caso parte dal ricorso di una donna proprietaria di alcuni appartamenti dati in locazione alla LUISS (conduttrice) col regime della cedolare secca. L’Università ha destinato gli alloggi ai dipendenti/collaboratori ad uso foresteria. Il Fisco ha richiesto il pagamento delle imposte di registro. La ricorrente si è difesa sostenendo che il divieto per le società di applicare la tassa piatta riguarda soltanto il locatore e non il conduttore. La Cassazione ha riunito i tre ricorsi ed ha rinviato alla S.U. considerata la “rilevanza giuridica della questione”.

Con la decisione n. 12395/2024 la Suprema corte aveva superato le incertezze affermando che «il locatore può optare per la cedolare secca anche nell’ipotesi in cui il conduttore concluda il contratto di locazione ad uso abitativo nell’esercizio della sua attività professionale, atteso che l’esclusione di cui all’art. 3, sesto comma, d.lgs. n. 23 del 2011 si riferisce esclusivamente alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate dal locatore nell’esercizio di una attività d’impresa o di arti e professioni».

Per la Sezione tributaria, tuttavia, il ragionamento non convince. Nel contratto ad uso foresteria, spiega, si realizza una “strutturale dissociazione tra il soggetto che ha rivestito la qualità di parte conduttrice e quelli che avrebbero poi utilizzato il bene”. Al punto che in tali ipotesi “par dubbio” configurare “la stessa sussistenza di una fattispecie locativa ad uso abitativo, in cui è invece connaturale l’utilizzazione diretta del bene da parte del conduttore, ipotesi questa che qui resta - per quanto sopra esposto - ab origine e per patto negoziale, esclusa”. In un precedente (2964/2014) richiamato nella decisione si afferma che il contratto “ad uso foresteria” non è una locazione abitativa, in quanto “non è diretta a soddisfare alcuna esigenza abitativa del conduttore”.

In questo senso, prosegue, “la giuridica disponibilità dei beni” da parte della Luiss, “funzionale soltanto allo scopo di assicurare un temporaneo e rotativo alloggio da parte di terzi (contratto ad uso foresteria), esclude che si possa individuare in essi, a monte, la sussistenza stessa di una locazione in senso proprio”.

Inoltre, l’“antecedente storico” della norma sarebbe la legge di stabilità 2010 (n. 191/2009) che, con riguardo al sisma dell’Aquila, consentiva l’imposta sostitutiva del 20% riservandolo però espressamente alle locazioni “tra persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di impresa”. E se una simile precisazione non si ritrova nell’art. 3 Dlgs n. 23/2011, prosegue la Corte, “è pur vero che il suo comma 6 esclude che le precedenti disposizioni dell’articolo si applichino alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate nell’esercizio di una attività d’impresa, o di arti e professioni”.

Non solo. Il comma 6-bis dell’art. 3, introdotto nel 2014, ha stabilito che, alle condizioni ivi previste (sublocazione a studenti universitari e date a disposizione dei comuni con rinuncia all’aggiornamento del canone di locazione o assegnazione), l’opzione per la cedolare può essere esercitata anche per le unità locate a cooperative edilizie per la locazione o enti senza scopo di lucro. E ancora l’articolo 4 del Dl 50/2017 ha previsto l’agevolazione per le locazioni brevi nell’esercizio di attività di impresa. Si tratta di regimi derogatori tutti espressamente indicati dalla norma.

In conclusione, per la Cassazione, “desta perplessità … il richiamo all’indiscutibile principio dell’interpretazione letterale della norma tributaria, perché fondato solo sulla lettura del primo comma della disposizione e con riferimento alla scelta esclusiva del locatore circa il regime fiscale della cedolare secca, rilievo di per sé ineccepibile per dettato normativo, ma che delinea solo l’innesco operativo dell’agevolazione, senza però esaurirne le condizioni, tra le quali … va annoverata la circostanza che il contratto di locazione sia da considerarsi tale in senso proprio e non sia concluso, da ambo le parti, nell’esercizio di un’attività di impresa, arte o professione”.

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