Lavoro

Pubblico impiego, l’incarico dirigenziale non è rinnovabile oltre i limiti e non ha durata minima

La norma che fissa il tetto massimo di tre o cinque anni contenuta nel testo unico del pubblico impiego è di rango speciale e va applicata con prevalenza su quelle di recepimento dell’accordo quadro sui contratti a termine

di Paola Rossi

La Corte di cassazione civile con due sentenze coeve - la n. 27189/2025 e la n. 27192/2025 ha fissato più di un principio di diritto per quanto attiene alla regolamentazione in ambito di pubblico impiego tanto dei presupposti quanto dei termini di durata nell’affidamento di incarichi dirigenziali temporanei, ossia utilizzando lo strumento del contratto a termine.

Con la prima sentenza (n. 27189) la Suprema corte ha risolto la questione della durata e della reiterabilità del rapporto a termine al fine di coprire posizioni dirigenziali comprese quelle generali o che richiedano specifiche professionalità.

In primis, la Corte chiarisce che le regole che riguardano gli incarichi dirigenziali nell’ambito del rapporto di lavoro pubblico privatizzato sono quelle dettate dal testo unico del pubblico impiego in quanto norma speciale, anche in relazione all’accordo quadro sui rapporti di lavoro a termine che governa anche il sistema sanzionatorio, quando nella reiterazione di rapporti a termine si verifichi un abuso da parte del datore di lavoro.

Afferma quindi la Cassazione che il termine di durata massima del rapporto a termine non deve nella sua interezza superare il limite dei tre anni per la dirigenza di seconda fascia e di cinque per la dirigenza generale come previsto dal comma 6 dell’articolo 19 del testo unico. E comunque la facoltà di rinnovo dei contratti a tempo determinato stipulati per l’attribuzione di incarichi ai sensi del medesimo dell’articolo 19, comma 6, va interpretata alla luce, da un lato, della clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva n. 1999/70/Cee sul lavoro a tempo determinato, nel rispetto delle precisazioni fornite dal giudice eurounitario sul tema della repressione degli abusi, e, dall’altro, del principio costituzionale dell’accesso all’impiego, anche temporaneo, solo a seguito di concorso pubblico. E il rinnovo non può dunque essere disposto, una volta superati i limiti triennali e quinquennali di durata stabiliti dalla norma del Dlgs 165/2001, neanche attraverso l’attribuzione di un incarico diverso, se quest’ultimo afferisca comunque alla normale attività dell’ente e in caso contrario al lavoratore spetta il risarcimento del danno c.d. eurounitario, da liquidarsi secondo la fattispecie dell’articolo 32, comma 5, della legge 183/2010 quale danno presunto, con valenza sanzionatoria, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto.
Inoltre, va detto che in tema di dirigenza nel pubblico impiego privatizzato, i contratti a tempo determinato con dirigenti esterni non sono soggetti al termine di durata minima previsto dal comma 2 dello stesso articolo 19 in quanto la norma si applica solo agli incarichi destinati ai dirigenti a tempo indeterminato.

Con l’altra sentenza (n. 27192) la Cassazione ha - oltre che riaffermato i principi suesposti - chiarito che la rivendicazione di vedersi riconosciuti a seguito di incarico, i medesimi emolumenti propri di una data posizione dirigenziale generale (che si assume avrebbe dovuto essere istituita) non può fondarsi sulla mera allegazione delle attività lavorative svolte.

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