Amministrativo

Sanzioni sui finanziamenti auto, perché l'Antitrust ha coinvolto i costruttori

di Stefano Grassani

Con una decisione resa pubblica ieri (caso I811), l'Autorità antitrust nazionale ha condannato le società finanziarie appartenenti ai principali gruppi automobilistici operanti in Italia. L'accusa è quella di essersi scambiate informazioni commerciali sensibili, al fine coordinare o armonizzare le condizioni commerciali da ciascuna di esse applicate alla clientela in relazione ai finanziamenti a questa concessi per l'acquisto delle auto prodotte dalle rispettive case costruttrici.

Tale scambio, asseritamente avvenuto per un periodo di tempo particolarmente lungo (per la maggior parte delle imprese, dal 2003 sino al 2017), si sarebbe sostanziato attraverso contatti regolari tra le varie finanziarie ed avrebbe avuto ad oggetto dati relativi al tasso dei finanziamenti proposti ai consumatori o applicato ai concessionari, ai volumi dei prodotti finanziari venduti, alle spese applicate ai clienti, ai valori residui in caso di leasing, nonché altri elementi determinanti per la formazione dell'offerta commerciale (per esempio ad es. risultati delle analisi dei rischi, tasso di accettazione dei finanziamenti, etc.).
La pronuncia è particolarmente significativa, sotto numerosi profili, e pone una serie di temi giuridici di non poco momento.

Innanzi tutto, per l'entità della sanzione. L'Autorità ha condannato sia le società finanziarie sia, in solido, le case costruttrici di riferimento (Psa, Bmw, Fca, Ford, General Motors, Renault, Toyota, Volkswagen), per un totale di 678 milioni di euro. Insieme a loro sono state sanzionate anche le associazioni di categoria Assofin ed Assilea. Al Gruppo Mercedes, pure coinvolto nell'istruttoria e ritenuto parte dell'intesa anticoncorrenziale, non è stata irrogata alcuna pena ma solo in virtù del meccanismo premiale della delazione, in base al quale l'impresa che per prima consenta la scoperta di un cartello e fornisca all'Autorità elementi decisivi per il suo accertamento viene retribuita con l'immunità. Si tratta della più grande sanzione complessiva mai comminata dalla nostra Autorità. Il livello degli ammontari in gioco segna innegabilmente un cambio di passo. In questa prospettiva, è indubbio che il coinvolgimento nel procedimento delle stesse case costruttrici, ampliando la base di fatturato sul quale calcolare la sanzione, abbia aperto la strada a siffatta severità sanzionatoria. E' peraltro lecito presumere che questo coinvolgimento, che le case hanno contestato, sarà uno degli argomenti con il quale si dovrà confrontare il giudice amministrativo, nei verosimili e prevedibili appelli che le parti proporranno al Tar Lazio. Ed è probabile che, a motivo della speciale rilevanza della questione (in diritto ma anche in sostanza economica), della stessa sia poi investita, su istanza delle parti, la Corte di Giustizia Ue.

Il secondo motivo di rilievo della decisione in parola riguarda il contesto di mercato nel quale sarebbero state tenute le condotte pretesamente anticoncorrenziali. L'Autorità tocca infatti il delicato tema dei rapporti tra vendita del bene primario (l'auto) e concessione del relativo ed eventuale finanziamento. Come più volte indicate su queste stesse pagine, le dinamiche del mercato automobilistico e le diverse esigenze di mobilità espresse dai consumatori hanno infatti da tempo spinto le case automobilistiche a cercare nella vendita di servizi finanziari quel recupero di marginalità che non riescono più a generare con il loro business caratteristico. E, simmetricamente, il finanziamento dell'acquisto dell'auto ha cessato di essere prerogativa del cliente ‘povero', per diventare una predisposizione generale del consumatore, spesso nemmeno in grado di percepire appieno il ‘costo' di tali componenti accessorie.

In questo ambito, l'Autorità ritiene che se il finanziamento diviene una componente essenziale della redditività della vendita dell'auto, ne consegue che ciascuna casa costruttrice, che controlla le finanziarie captive della ‘marca', sia inevitabilmente interessata dalle attività di queste ultime; e, quindi, gli esiti anticoncorrenziali di condotte poste in essere dalle finanziarie medesime non possano che andare a beneficio anche e soprattutto delle case. Il portato del ragionamento è che, di riflesso, queste ultime debbano rispondere in solido della violazione antitrust. L'obiettivo di una captive bank – sottolinea l'Autorità – non è infatti necessariamente quello di esaltare il profitto di ogni singolo finanziamento erogato (come accade di norma per le società finanziarie), bensì di massimizzare le vendite di auto del proprio gruppo di appartenenza, fidelizzando il cliente e offrendo tassi adeguati a questo scopo. La logica sarebbe, dunque, una logica di gruppo, dove quel che conta è la redditività complessiva. Sotto un profilo giuridico la tesi presta il fianco a più di una riflessione e, qui pure, è certo che la risposta finale sulla legittimità della pronuncia verrà rimessa al giudice amministrativo, se non a quello “sovrazionale”.

È infatti ragionevole chiedersi se la definizione del mercato abbracciata dall'Autorità nella decisione – quella, cioè, che conduce all'individuazione di un “mercato della vendita di auto attraverso il collocamento dei prodotti finanziari offerti dalle società captive dei gruppi automobilistici” – sia corretta e idonea a identificare il contesto economico rilevante nella specie, posto che, in realtà, le prove raccolte e le condotte sanzionate sono tutte relative alla vendita di prodotti finanziari, e non alla vendita di automobili.

Il terzo motivo di interesse riguarda infine il ruolo del delatore nelle indagini antitrust. L'Autorità riconosce come sia stato proprio grazie al Gruppo Mercedes che il cartello sia stato portato a sua conoscenza sin dal 2014. E, cionondimeno, la fase pre-istruttoria si è protratta per diversi anni, nei quali è evidente che il delatore, per poter conseguire il beneficio dell'immunità di cui si è detto, è stato tenuto ad una piena collaborazione con l'Autorità, continuando a raccogliere elementi probatori utili all'indagine.

Negli Stati Uniti, che costituiscono ancora oggi un modello di vigoroso enforcement antitrust (peraltro sostenuto da un sistema giuridico nel quale la sanzione è penale e quindi gli strumenti di indagine sono assai più pervasivi), il c.d. leniency applicant non si deve limitare a svolgere l ruolo di catalizzatore dello svelamento del cartello; ma deve altresì collaborare con le autorità inquirenti durante tutta l'indagine, anche e se del caso prestandosi a rivestire i panni dell'agente provocatore. Nel nostro ordinamento, dove la cultura della delazione premiale è stata storicamente riservata ad esigenze eccezionali, l'utilizzo del confessore in chiave istruttoria ‘attiva' è sicuramente fonte di grande interesse sotto un profilo investigativo: apre non pochi interrogativi sotto quello giuridico.
Per tutto quanto precede, l'impressione è allora quella di una partita il cui finale deve essere ancora scritto.

Il provvedimento Antitrust

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