Civile

Sentenza sospesa solo se si prova il danno grave e irreparabile

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di Marcello Maria De Vito

Per la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, la prova del fumus boni iuris non può essere data dai motivi di impugnazione contestuali all’istanza. Né il periculum in mora è integrato dall’importo da pagare, senza esame dei rischi per i diritti primari della persona o per la sopravvivenza dell’attività economica ovvero di una dilazione di pagamento compatibile con la solvibilità del contribuente. Sono questi i principi stabiliti dalla Ctr della Lombardia, che con l’ordinanza cautelare 1439/10/2017 del 26 settembre scorso (presidente e relatore Labruna) illustra i presupposti necessari per la sospensione della sentenza impugnata.

La controversia

L’agenzia delle Entrate contestava a un contribuente la qualifica di amministratore di fatto di una ditta individuale posta al centro di un complesso sistema fraudolento finalizzato all’utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, emesse da diverse società estere.

Nel processo penale veniva accertato che il flusso finanziario derivante dalle fatture inesistenti era stato accreditato su conti svizzeri intestati al contribuente.

L’Agenzia, quindi, notificava un atto di contestazione recante un’ingente pretesa a titolo di sanzioni per imposte dirette e Iva. Il contribuente ricorreva alla Ctp chiedendo anche la sospensione dell’atto. La Ctp sospendeva l’atto impugnato ma, poi, respingeva il ricorso nel merito. Il contribuente appellava la sentenza chiedendo alla Ctr anche la sospensione della pronuncia impugnata.

La decisione cautelare

La Ctr osserva che il nuovo articolo 52 non richiama i concetti del fumus boni iuris e del periculum in mora, ma richiede la sussistenza di «gravi e fondati motivi» o comunque un danno grave e irreparabile, analogamente alle ipotesi di cui agli articoli 47 e 62-bis.

Il collegio evidenzia che il requisito della “gravità” è necessario in tema di sospensione sia dell’atto, sia della sentenza. Esso è configurabile con delibazione in diritto, non disgiunta da quella sulla fondatezza della motivazione e con una prognosi in fatto accompagnata da una valutazione sull’irreparabilità alla luce dell’attività esercitata dal contribuente. La Ctr ricorda che secondo la Cassazione il danno è grave quando l’esecuzione della sentenza provoca un inaccettabile squilibrio tra i vantaggi dell’esecutore e i sacrifici dell’esecutato. In tema di irreparabilità del danno, la Ctr richiama il principio affermato dalla Consulta (sentenza 217/2010), secondo il quale l’irreparabilità va intesa nel senso di un intollerabile scarto tra il pregiudizio derivante dall’esecuzione della sentenza e le concrete possibilità di risarcimento in caso di accoglimento del ricorso.

La Ctr ritiene che il fumus boni iuris – in questo caso appellationis – non possa essere dimostrato dagli stessi motivi di impugnazione. Né l’importo da pagare, seppur ingente, può integrare di per sé il danno grave e irreparabile. L’istante deve illustrare i rischi concreti e attuali per i diritti primari della persona o per la sopravvivenza dell’attività economica e deve prendere in esame la possibilità di dilazionare il pagamento compatibilmente con la propria solvibilità. Pertanto, conclude il collegio, anche applicando al caso concreto il criterio della “compresenza asimmetrica”, descritto in dottrina e in giurisprudenza con la metafora dei “vasi comunicanti”, si deve ritenere indimostrato il fumus boni iuris e il periculum in mora. Ne consegue il rigetto dell’istanza cautelare.

Ctr della Lombardia ordinanza cautelare 1439/10/2017

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