Stato di abbandono se i genitori non garantiscono una normale crescita
Lo ha ribadito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 25374 depositata oggi, respingendo il ricorso di una giovane mamma con una storia di tossicodipendenza
La situazione di abbandono del figlio minorenne è configurabile “ogniqualvolta si accerti l’inadeguatezza dei genitori naturali a garantirgli il normale sviluppo psico-fisico, così da far considerare la rescissione del legame familiare come strumento adatto ad evitare al minore un più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva”. Non è sempre necessaria, dunque, una condizione di “materiale abbandono”. Lo ha ribadito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 25374 depositata oggi, respingendo il ricorso di una mamma molto giovane, anche lei minore al momento del parto, con una storia di tossicodipendenza e precarietà economica ed affettiva alle spalle. Mentre il padre, dal quale la donna si era presto separata, aveva diversi precedenti penali e si era sempre disinteressato del figlio.
La Prima sezione civile ricorda che si deve considerare “situazione di abbandono”, oltre al rifiuto intenzionale e irrevocabile dell’adempimento dei doveri genitoriali, anche una situazione di fatto obiettiva del minore, che, a prescindere dagli intendimenti dei genitori, impedisca o ponga in pericolo il suo sano sviluppo psico-fisico, per il non transitorio difetto di quell’assistenza materiale e morale necessaria a tal fine».
Nel caso specifico, la Corte di merito aveva correttamente illustrato le ragioni per cui, nonostante i “sinceri sentimenti di affetto della ricorrente nei confronti del figlio”, aveva confermato l’affido etero familiare del minore e gli incontri in forma protetta con la madre, sempre restia ad intraprende i percorsi di recupero “volti a superare le gravi carenze emerse sul piano della competenza genitoriale”. Né per il Collegio la nuova relazione affettiva – con un uomo più grande di lei di oltre 40 anni - era idonea “a mutare il quadro complessivo di quanto accertato”.
La Cassazione ricorda che «La dichiarazione di adottabilità di un minore, costituisce una “extrema ratio” che si fonda sull’accertamento dell’irreversibile non recuperabilità della capacità genitoriale, in presenza di fatti gravi, indicativi in modo certo dello stato di abbandono, morale e materiale, a norma dell’art. 8 della l. n. 183 del 1984, che devono essere dimostrati in concreto, senza dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale non basati su precisi elementi di fatto.» (S.U. n. 35110/2021). Invero, prosegue, l’accertamento dell’irreversibile non recuperabilità della capacità genitoriale, deve compiersi «tenendo conto che il legislatore, all’art. 1 l. n. 184 del 1983, ha stabilito il prioritario diritto del minore di rimanere nel nucleo familiare anche allargato di origine, quale tessuto connettivo della sua identità. La natura non assoluta, ma bilanciabile, di tale diritto impone un esame approfondito, completo e attuale delle condizioni di criticità dei genitori e dei familiari entro il quarto grado disponibili a prendersi cura del minore e delle loro capacità di recupero e cambiamento, ove sostenute da interventi di supporto adeguati anche al contesto socioculturale di riferimento.» (Cass. n. 24717/2021).
E allora, il giudice di merito deve, prioritariamente, verificare in concreto se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare e se ciò incontri la collaborativa sinergia dei genitori, e, solo ove risulti impossibile, quand’anche in base ad un criterio di grande probabilità, prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittimo e corretto l’accertamento dello stato di abbandono (Cass. n. 6137/2015).
Tornando al caso concreto, conclude la decisione, la Corte di merito “ha accertato all’attualità l’inidoneità paterna, l’assenza di figure familiari vicarianti e l’avvenuta predisposizione di percorsi di sostegno alla genitorialità materna, nei primi tempi anche presso strutture di accoglienza madre-figlio, con esiti non soddisfacenti: ha valutato le esigenze evolutive, di assistenza e cura del minore in tenera età, collocato in casa-famiglia sin da neonato, tali da essere soddisfatte dalla collocazione etero familiare ed ha svolto un giudizio prognostico circa il pregiudizio per il suo sviluppo evolutivo, incompatibile con i tempi di maturazione delle competenze materne: ha, comunque, ritenuto di preservare il rapporto madre-figlio nei limiti congrui a quanto accertato, nella forma degli incontri protetti”.