Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 25 e il 29 luglio 2022

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settimana le Corte d'Appello si pronunciano in materia di: rimozione delle barriere architettoniche negli edifici condominiali; specificità della sottoscrizione delle clausole vessatorie; vizi della cosa venduta. Affrontano altresì i temi della corretta esegesi della norma di cui all'articolo 2049 c.c. (sulla responsabilità di "padroni" e "committenti") e del diritto del mediatore alla provvigione.
Da parte loro i Tribunali si soffermano sul recesso ad nutum nel contratto di prestazione d'opera intellettuale, sulla cessione dei rapporti giuridici, sulle associazioni non riconosciute nonché sulle cooperative edilizie, e infine sulle ipotesi di nullità del testamento olografo.


CONDOMINIO
Edifici condominiali - Barriere architettoniche – Eliminazione
(Cc, articolo 1120; legge 9 gennaio 1989, n. 13, articolo 1)
La Corte d'Appello di Lecce interviene in tema di rimozione delle barriere architettoniche in un complesso condominiale osservando così, in punto di diritto, come - anche in applicazione del generale principio di solidarietà condominiale – debba ritenersi meritevole di tutela l'iniziativa finalizzata a migliorare la fruizione degli spazi comuni senza che ciò gravi, o nuoccia particolarmente, alle specifiche esigenze dei condomini.
La ratio sottesa alla legge n. 13/1989, in materia di abbattimento delle barriere architettoniche, è quella di facilitare tale abbattimento introducendo talune importanti deroghe alle procedure ordinarie: tra queste, anche l'abbassamento delle maggiorante assembleari per la realizzazione delle innovazioni ex articolo 1120 c.c..
Invero, l'eliminazione delle barriere architettoniche è pacificamente espressione di quel principio di "solidarietà sociale" volto a favorire la più generale accessibilità dell'edificio implicando il contemperamento di vari interessi tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all'eliminazione delle dette barriere.
Si tratta, a ben vedere, di un diritto fondamentale che prescinde dall'effettiva utilizzazione da parte di costoro degli edifici interessati e che conferisce comunque legittimità all'intervento innovativo purché lo stesso sia idoneo, anche se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell'abitazione.
Invero la citata Legge del 1989 non si è limitata ad innalzare il livello di tutela in favore dei soggetti affetti da invalidità ma ha segnato un radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi di tali persone, problemi che devono essere assunti dall'intera collettività.
E così, nella valutazione del Legislatore, quale si desume dalla legge n. 13/1989, articolo 1, l'installazione di un ascensore o di altri congegni, con le caratteristiche richieste dalla normativa tecnica, idonei ad assicurare l'accessibilità, adattabilità e visitabilità degli edifici, costituisce elemento che deve necessariamente essere previsto dai progetti relativi alla costruzione di nuovi edifici, ovvero al momento della ristrutturazione di interi edifici.
Corte di Appello di Lecce, sezione II, sentenza 25 luglio 2022 n. 845

CLAUSOLE VESSATORIE
Clausole vessatorie – Sottoscrizione – Requisiti di validità
(Cc, articoli 1341, 1342)
Osserva in sentenza l'adita Corte d'Appello di Milano come, in tema di clausole vessatorie, si configura un' ipotesi di richiamo cosiddetto cumulativo, che non soddisfa il requisito della specificità della sottoscrizione delle clausole vessatorie richiamate, non solo quando esso sia riferito a tutte le condizioni generali di contratto, ma anche quando, prima della sottoscrizione, siano indistintamente richiamate più clausole del contratto per adesione, di cui solo una sia vessatoria.
Deve invero ritenersi, per identità di "ratio", che neppure in tal caso è garantita l'attenzione del contraente debole verso la clausola a lui sfavorevole compresa fra le altre richiamate, resa non facilmente conoscibile dal predisponente proprio perché confusa tra quelle.
Le clausole vessatorie devono, infatti, essere tenute distinte dalle altre condizioni generali di contratto, e dalle clausole che tali non sono, ed essere indicate specificamente in maniera idonea (quanto meno con il numero o la lettera che le contraddistingue o con la riassuntiva enunciazione del loro contenuto) a suscitare l'attenzione del sottoscrittore.
Si afferma così, in punto di diritto, il principio per il quale il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive di carattere vessatorio, e la sottoscrizione indiscriminata delle medesime, sia pure apposta sotto la loro elencazione secondo il numero d'ordine, non determina la validità ed efficacia, ai sensi dell'articolo 1341, II, c.c., di quelle onerose, non potendosi ritenere che in tal caso sia garantita l'attenzione del contraente debole verso la clausola a lui sfavorevole compresa fra quelle richiamate.
D'altronde la disciplina di riferimento (articoli 1341 e 1342 c.c.) prevede una forma di tutela minima del contraente debole, richiedendo in via formale che alcune clausole particolarmente gravose non siano efficaci nei suoi confronti se non approvate espressamente per iscritto.
La ratio di tale disciplina risiede nella necessità di garantire che il contraente, che non abbia predisposto il contratto, sia stato comunque pienamente consapevole della disciplina del rapporto; in sintesi, che abbia quantomeno conosciuto ed accettato gli effetti di quelle clausole che incidono in modo così significativo sul rapporto contrattuale.
Corte d'Appello di Milano, sezione I, sentenza 25 luglio 2022 n. 2609

VENDITA
Vendita – Vizi della cosa venduta – Tutela dell'acquirente
(Cc, articoli 1490, 1492, 1493, 1495)
La Corte d'Appello di Roma precisa in sentenza come, in materia di denunzia dei vizi della cosa venduta, ai fini della decorrenza del termine di decadenza di cui all'articolo 1495 c.c., pur dovendosi, di regola, distinguere tra vizi apparenti ed occulti - là dove per i primi detto termine decorre dalla consegna della cosa, mentre per i secondi dal momento in cui essi sono riconoscibili per il compratore - occorre comunque che il dies a quo si faccia risalire al momento in cui il compratore acquisisce la certezza obiettiva del vizio, non essendo sufficiente il semplice sospetto.
La normativa di cui agli articoli 1490-1492 c.c. prevede l'obbligo del venditore di garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendono inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscono in modo appezzabile il valore. Ad un tempo, quella normativa, attribuisce al compratore il diritto di domandare a sua scelta la risoluzione del contratto, ovvero, la riduzione del prezzo salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione.
Di conseguenza, legittimato attivo a proporre, a sua scelta, una delle due azioni di cui si è appena detto, sarà l'acquirente, il quale sarà chiamato a dare prova di essere proprietario al momento in cui propone l'azione; e legittimato passivo sarà il venditore che potrà esimersi dall'obbligo di garanzia dimostrando di non essere il venditore.
Tuttavia, l'articolo 1492, II, prevede, tra l'altro, un'ipotesi particolare e articolata e, cioè, quella in cui il compratore abbia alienato o trasformato la cosa oppure la cosa sia perita per caso fortuito o per colpa del compratore. In queste ipotesi, la norma citata stabilisce che il compratore può chiedere al venditore solo una riduzione del prezzo.
Orbene, avuto riguardo all'ipotesi del compratore che aliena il bene deve essere tenuto presente che vi sono due compratori e due venditori: il primo acquirente potrà agire nei confronti del suo immediato venditore, con la limitazione di cui all'articolo 1492, II, c.c., mentre il secondo acquirente potrà agire nei confronti del secondo venditore, ovvero, primo acquirente, senza alcuna limitazione, purchè ricorrano le condizioni volute dagli articoli 1493 ss. c.c..
Corte d'Appello di Roma, sezione III, sentenza 25 luglio 2022 n. 5128

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Padroni e dei committenti - Responsabilità - nesso di occasionalità necessaria
(Cc, articolo 2049)
Nella sentenza in esame la Corte d'Appello di Firenze è chiamata a pronunciarsi sulla corretta esegesi della norma di cui all'articolo 2049 c.c. che pone, e disciplina, una particolare ipotesi di responsabilità extracontrattuale per fatto altrui rispetto al quale il "committente", ovvero il "padrone", risponde oggettivamente del fatto commesso dal preposto in applicazione del principio cuius commoda et eius incommoda.
In forza di ciò, il preponente risponde dei danni commessi dal preposto purché sia provato il nesso di occasionalità necessaria tra l'esercizio delle incombenze e il danno cagionato al terzo.
Nesso che si considera sussistente qualora il pregiudizio sia derivato dall'esercizio delle funzioni attribuite al preposto a prescindere dal fine perseguito, ancorché strettamente personale.
La responsabilità del preponente può essere esclusa nel solo caso in cui la condotta del preposto risulti essere assolutamente imprevedibile e totalmente esorbitante dall'incarico ascrittogli, ovvero quando il terzo tenga una condotta anomala da cui emerga la sua consapevolezza circa la violazione da parte del preposto delle regole e del rapporto che lo legano al preponente tale da scindere ogni rapporto di occasionalità tra l'illecito commesso dal preposto e la funzione svolta per conto di quest'ultimo.
Può dunque affermarsi in punto diritto che: - ai fini della configurabilità della responsabilità ex articolo 2049 c.c. è sufficiente che il fatto illecito sia commesso da un soggetto legato da un rapporto di preposizione con il responsabile, ipotesi che ricorre non solo in caso di lavoro subordinato ma anche quando per volontà di un soggetto (committente) un altro (commesso) esplichi un'attività per suo tonto; - ai fini dell'imputazione di tale responsabilità in capo al preponente è sufficiente la sussistenza di un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che l'incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso, anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purché sempre nell'ambito dell'incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro.
Corte d'Appello di Firenze, sezione II, sentenza 26 luglio 2022 n. 1604

MEDIAZIONE
Mediazione – Affare – Conclusione - Provvigione
(Cc, articolo 1755; legge 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 40)
Osserva la Corte d'Appello di Napoli come, secondo i principi generali, per mediazione s'intenda l'attività (svolta in forma professionale o meno) di colui che crea un contatto tra le parti interessate per la conclusione di un affare, che favorisce il punto d'incontro tra la domanda e l'offerta dei futuri contraenti, offrendo loro la possibilità di relazionarsi.
Nella mediazione, il diritto alla provvigione, di cui all'articolo 1755 c.c., sorge nel momento in cui si è concluso l'affare, ossia quando fra le parti messe in contatto dal mediatore si è costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna ad agire per l'esecuzione (o risoluzione) del contratto stesso.
Pertanto la provvigione spetta al mediatore anche quando egli sia intervenuto per consentire la stipula tra le parti di un contratto preliminare di vendita di un immobile privo della concessione edificatoria e non regolarizzabile urbanisticamente, posto che la sanzione di nullità prevista dall'articlo 40 della legge n. 47/1985 si applica ai soli atti di trasferimento comportanti effetti reali e non a quelli con efficacia obbligatoria.
In sintesi, il diritto alla provvigione nell'attività di mediazione, sorge tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, ovvero qualora il mediatore abbia messo in relazione le parti, così da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipulazione del contratto, sempre che questo possa ritenersi conseguenza prossima (o remota) dell'opera dell'intermediario tale che, senza di essa, secondo il principio della causalità adeguata, il contratto stesso non si sarebbe concluso.
In definitiva il diritto al compenso spetta in favore del mediatore quali che siano le modalità formali con cui l'affare si realizzi e anche quando le parti originarie sostituiscano altri a sé nell'intestazione del bene.
Corte d'Appello di Napoli, sezione VIII, sentenza 27 luglio 2022 n. 3552

CONTRATTI
Contratto di prestazione d'opera intellettuale - Cliente – Recesso ad nutum – Derogabilità
(Cc, articolo 2237)
Il tema centrale della vicenda oggetto dell'intervento del Tribunale di Torino è costituito dalla sussistenza, o meno, del diritto al recesso ad nutum da parte del cliente, a fronte di un contratto di collaborazione professionale in essere tra le parti, con le sole conseguenze economiche descritte dall'articolo 2237, I, c.c. ( spese sostenute e compenso per l'opera sostenuta ) e quindi senza alcuna legittima pretesa da parte del professionista.
Afferma in merito il Tribunale che il recesso unilaterale promosso dal cliente non priva il professionista del diritto a conseguire il suo compenso contrattualmente previsto.
Invero, la previsione della facoltà di recesso ad nutum del cliente nel contratto di prestazione d'opera intellettuale, quale contemplata dall'articolo 2237, I, c.c., non ha carattere inderogabile e, quindi, è possibile che, per particolari esigenze delle parti, sia esclusa una tale facoltà di recesso fino al termine del rapporto, ragion per cui anche l'apposizione di un termine ad un rapporto di collaborazione professionale continuativa può essere sufficiente ad integrare la deroga convenzionale alla suddetta facoltà di recesso così come disciplinata dalla legge, senza che a tal fine sia propriamente necessario pervenire alla conclusione di un patto specifico ed espresso.
In definitiva il principio della derogabilità del recesso ad nutum è desumibile anche dall'apposizione di un termine di durata del rapporto, ritenuto sufficiente ad integrare una deroga pattizia della facoltà di recesso.
Nel caso oggetto del giudizio del Tribunale di Torino il contenuto negoziale delle prestazioni (fisiologicamente connesso ad attività temporalmente determinate, quali le relazioni di bilancio annuale e l'attività di consulenza tributaria), nonché l'ampiezza dell'incarico, in uno con la durata contrattuale della collaborazione e del termine di disdetta (nella specie, sei mesi), hanno fatto ritenere che le parti avessero inteso escludere la possibilità di unilaterale recesso dal contratto ben prima della sua naturale scadenza e al di fuori del termine di disdetta, contrattualmente previsto.
Tribunale di Torino, sezione I, sentenza 25 luglio 2022 n. 3316

CESSIONE DI RAPPORTI GIURIDICI
Cessione di rapporti giuridici – Efficacia – Avviso in Gazzetta Ufficiale
(Cc, articolo 1264; Dlgs 1 settembre 1993, n. 385, articolo 58; legge 30 aprile 1999, n. 130; Regolamento UE 12 dicembre 2017, n. 2402)
Il Tribunale di Napoli sottolinea come l'articolo 58, II (nel suo testo originario) Dlgs n. 385/1993 (TUB) abbia inteso agevolare la realizzazione della cessione "in blocco" di rapporti giuridici, prevedendo, quale presupposto di efficacia della stessa nei confronti dei debitori ceduti, la pubblicazione di un avviso nella GazzettaUfficiale, e dispensando la banca cessionaria dall'onere di provvedere alla notifica della cessione alle singole controparti dei rapporti acquisiti.
Quindi, nell'ipotesi di cessione di azienda bancaria, e di cessione di crediti oggetto di cartolarizzazione (la cartolarizzazione è una forma di cessione del credito che rientra nel più ampio genere delle attività di smobilizzo dei crediti da parte d'imprese, specie delle banche, e che trova i propri riferimenti normativi nella legge n. 130/1999 e nel Regolamento UE n. 2017/2402) la pubblicazione dell'atto di cessione sulla G.U. sostituisce la notificazione dell'atto stesso o l'accettazione da parte del debitore ceduto, con la conseguenza che, mentre secondo la disciplina ordinaria è sufficiente per il cessionario provare la notificazione della cessione o l'accettazione da parte del debitore ceduto, la disciplina speciale richiede soltanto la prova che la cessione sia stata pubblicata sulla G.U..
In questo caso, la mera pubblicazione nella G.U. comporta anche, ai sensi dell'articolo 1264, III, c.c., che i privilegi e le garanzie, nonché le trascrizioni nei pubblici registri degli atti di acquisto dei beni, conservino la loro validità e il loro grado in favore del cessionario, senza ulteriori formalità ed annotazioni.
Inoltre il contratto di cessione di crediti in blocco non risulta soggetto a forme sacramentali o comunque particolari al fine specifico della sua validità
La richiamata norma dell'articolo 58 TUB, se non impone che un contenuto informativo minimo, consente tuttavia che la comunicazione relativa alla cessione da pubblicare in Gazzetta contenga più diffuse e approfondite notizie.
Con la conseguenza che – sempre in tema di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, ai sensi dell'articolo 58 in esame - è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell'avviso di pubblicazione sulla GazzettaUfficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorchè gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione.
Tribunale di Napoli, sezione II, sentenza 26 luglio 2022 n. 7492

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Associazione non riconosciuta – Responsabilità – Creditori
(Cc, articolo 1957)
Secondo quanto affermato dal Tribunale di Roma la responsabilità di coloro i quali abbiano agito in nome e per conto di un'associazione non riconosciuta non concerne, neppure in parte, un debito proprio di tali persone, avendo carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria della stessa associazione, con la conseguenza che la responsabilità, avente natura solidale, di quanti abbiano agito in nome e per conto di un'associazione non riconosciuta, risulta inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, assimilabili alla fideiussione.
Si ha così il conseguente assoggettamento del creditore alla decadenza prevista dall'articolo1957 c.c. secondo i principi concernenti la fideiussione solidale per cui non si richiede la preventiva escussione del debitore principale, essendo tuttavia indispensabile, per impedire l'estinzione della garanzia, che il creditore eserciti tempestivamente l'azione nei confronti, a sua scelta, del debitore principale o del fideiussore.
Detta norma codicistica, nell'imporre al creditore l'onere di proporre le sue istanze contro il debitore entro sei mesi dalla scadenza per l'adempimento dell'obbligazione garantita dal fideiussore, a pena di decadenza dal suo diritto verso quest'ultimo, tende a far sì che il creditore stesso prenda sollecite e serie iniziative contro il debitore principale per recuperare il proprio credito, in modo che la posizione del garante non resti indefinitamente sospesa.
Pertanto, il termine "istanza" (adoperato, al plurale, nella richiamata norma dell'articolo 1957 c.c.) si riferisce ai vari mezzi di tutela giurisdizionale del diritto di credito, in via di cognizione o di esecuzione, che possano ritenersi esperibili al fine di conseguire il pagamento, indipendentemente dal loro esito e dalla loro idoneità a sortire il risultato sperato.
Resta invece escluso che, in quello stesso termine, possa rientrare un semplice atto stragiudiziale, o una denuncia o una querela presentate in sede penale, o un ricorso per accertamento tecnico preventivo.
Con la precisazione che ove il creditore di un'associazione non riconosciuta intenda valersi della disposizione di cui all'articolo 38 c.c. potrà convenire, nel giudizio di cognizione diretto a ottenere il titolo esecutivo, insieme all'associazione, il soggetto che pretende obbligato in solido con la stessa, in proprio, chiedendo accertarsi la sua responsabilità solidale, onde ottenere la condanna sia dell'associazione che del soggetto solidalmente responsabile per la relativa obbligazione (allegando e provando in giudizio, naturalmente, che sussistono i presupposti per siffatta responsabilità).
In caso contrario, se il giudizio di cognizione si svolge esclusivamente nei confronti dell'associazione, il titolo esecutivo che si formerà all'esito del giudizio di cognizione avrà efficacia esecutiva esclusivamente contro l'associazione; ciò è a dirsi pure nell'ipotesi in cui l'associazione sia convenuta in giudizio in persona del suo legale rappresentante, laddove quest'ultimo non sia evocato in giudizio anche in proprio, oltre che nella qualità.
Tribunale di Roma, sezione VI, setenza 26 luglio 2022,n. 11544

COOPERATIVA EDILIZIA
Cooperativa edilizia – Soci - Rapporto associativo - Rapporto di scambio

Afferma in sentenza il Tribunale di Salerno che il socio di una cooperativa, beneficiario del servizio mutualistico reso da quest'ultima, è parte di due distinti (anche se collegati) rapporti, l'uno di carattere associativo, che discende direttamente dall'adesione al contratto sociale e dalla conseguente acquisizione della qualità di socio, l'altro che deriva dal contratto bilaterale di scambio, per effetto del quale egli si appropria del bene o del servizio resogli dall'ente.
In particolare, nelle cooperative edilizie, mentre dal rapporto associativo discende l'obbligo dei conferimenti e delle contribuzioni alle spese comuni di organizzazione e di amministrazione, dal rapporto di scambio sorge, a carico del socio, l'obbligo di provvedere alle anticipazioni e agli esborsi di carattere straordinario necessari per l'acquisto del terreno e la realizzazione degli alloggi, prestazioni quest'ultime che non rappresentano un rimborso delle spese sopportate dalla cooperativa nell'interesse dei soci, ma il corrispettivo del trasferimento della proprietà, la cui causa dunque risulta del tutto omogenea a quella della compravendita.
Può così affermarsi che, nelle cooperative edilizie, qualora si verta sul pagamento degli importi dovuti all'Ente Comunale per l'acquisto dei terreni, ove risulti pacifico l'acquisto degli immobili da parte dei soci, la perdurante qualità di soci risulta irrilevante, essendo l'obbligazione collegata alla compravendita dell'immobile e non alla partecipazione sociale, benché strumentale all'acquisto dell'appartamento; per cui la cessazione dalla qualità di socio alla data in cui è sorto il credito dell'Ente per l'acquisto dei terreni su cui si è realizzato il piano edilizio non esclude l'obbligo gravante sui soci stessi di corrispondere quanto pattuito.
Tribunale di Salerno, sezione I, sentenza 26 luglio 2022 n. 2757

SUCCESSIONI E DONAZIONI
Testamento olografo – "Guida della mano" – Nullità
(Cc, articoli 602, 606)
Il Tribunale di Sassari è chiamato ad accertare la nullità per difetto di forma, in quanto apocrifo sia nella autografia che nella sottoscrizione, di un testamento olografo.
Avuto riguardo alle prescrizioni stabilite dall'articolo 602, I, c.c. (secondo cui "il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore") l'adito Collegio giudicante ha ritenuto, nel caso oggetto del suo giudizio, integrata la causa di nullità espressamente prevista dall'articolo 606 c.c. il quale la prevede, tra gli altri casi, quando "manca l'autografia o la sottoscrizione".
Trattasi di una ipotesi di nullità la cui ratio è chiaramente rinvenibile nella necessità di preservare la genuina volontà del testatore. D'altronde anche una meno grave "guida della mano" da parte di terzi integra la carenza di autografia.
Opera invero in tal senso il principio di diritto (al quale espressamente si riporta il Tribunale adito) secondo cui la guida della mano del testatore da parte di una terza persona esclude, di per sé, il requisito dell'autografia, indispensabile per la validità del testamento olografo.
A nulla rileva, in tale ipotesi, l'eventuale corrispondenza del contenuto della scheda rispetto alla volontà del testatore risultando altresì ultroneo verificare se la mano cosiddettta guidante sia intervenuta su tutta la scheda testamentaria, trattandosi di condotta in ogni caso idonea ad alterare la personalità ed abitualità del gesto scrittorio.
Il testamento olografo dunque deve essere interamente vergato di mano del testatore anche per impedire che questi, nella confezione del testamento, possa subire illecite ingerenze altrui e manifestare di conseguenza una volontà non formatasi, in tutto o in parte, in maniera libera e spontanea.
E qualora nel corpo della disposizione di ultima volontà anche una sola parola sia di mano altrui, risultando essere stata scritta dal terzo durante la confezione del testamento, sciente e consenziente il testatore, il testamento è nullo per intero.
Tribunale di Sassari, sentenza 26 luglio 2022 n. 806

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