Unione civile, per l’assegno valgono le stesse regole del divorzio
Lo chiarisce la Cassazione, ordinanza n. 25495 depositata oggi, affermando un principio di diritto
I principi stabiliti per l’assegno divorzile sono “senz’altro” valevoli anche in tema di assegno chiesto a seguito di scioglimento della unione civile. Lo chiarisce la Corte di cassazione, ordinanza n. 25495 depositata oggi, affermando un principio di diritto. Come nel caso del divorzio, anche in caso di cessazione dell’unione civile, il giudice - spiega la Corte - deve operare una “complessiva ponderazione dell’intera storia della coppia, rendendo anche una prognosi futura, ove parità e solidarietà si coniugano con il principio di autoresponsabilità, svincolando l’assegno dal criterio del tenore di vita, parametrandolo invece a un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare”.
L’unione civile, infatti, si legge nella decisione, per come è stata disegnata dal nostro legislatore consente di “formalizzare e dare rilevanza giuridica piena al rapporto tra due persone legate da una relazione omoaffettiva”, essa “è istituto diverso dal matrimonio”, infatti si può sciogliere con minori formalità e non conosce la fase della separazione e gli istituti ad essa connessi, come l’assegno di mantenimento; “ad essa però – prosegue - si applica il comma 6 dell’art. 5 della legge sul divorzio, secondo i principi già elaborati dalla giurisprudenza in tema di scioglimento o cessazione effetti civili del matrimonio”.
La vicenda riguarda due donne unite civilmente nel 2016 dopo una convivenza iniziata nel 2013. A seguito dello scioglimento dell’unione, la parte meno abbiente aveva chiesto e ottenuto un assegno di 550 euro mensili dal Tribunale di Pordenone. Proposto ricorso la Corte d’Appello di Trieste (2020) l’aveva revocato. Adita la Suprema corte, le Sezioni unite (n. 35969/2023) hanno disposto l’annullamento, con rinvio, della decisione affermando che per valutare l’assegno andava considerato anche il periodo di convivenza precedente l’unione. La Corte d’Appello di Trieste (2024) ha nuovamente riconosciuto l’assegno (di € 550).
Da qui il nuovo ricorso in Cassazione che ha portato la Prima sezione civile ad affermare i seguenti principi: “Nell’ambito della unione civile, non diversamente da quanto avviene nel matrimonio, l’assegno divorzile può riconoscersi ove, previo accertamento della inadeguatezza dei mezzi del richiedente, se ne individui la funzione assistenziale e la funzione perequativo-compensativa”.
“Mentre la prima - spiega la Corte - va individuata nella inadeguatezza di mezzi sufficienti ad una vita autonoma e dignitosa e nella impossibilità di procurarseli malgrado ogni diligente sforzo, la seconda ricorre se lo squilibrio economico tra le parti dipenda dalle scelte di conduzione della vita comune e dal sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in quanto detto sacrificio sia stato funzionale a fornire un apprezzabile contributo al ménage domestico e alla formazione del patrimonio comune e dell’altra parte”.
“Con la precisazione - aggiunge il Collegio di legittimità - che la sola funzione assistenziale può giustificare il riconoscimento di un assegno, che in questo caso non viene parametrato al tenore di vita bensì a quanto necessario per soddisfare le esigenze esistenziali dell’avente diritto; se invece ricorre anche la funzione compensativa, che assorbe quella assistenziale, l’assegno va parametrato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale dell’altra parte”.
La Corte di merito avrebbe dovuto quindi verificare, ai fini del requisito assistenziale, se le risorse, attuali e potenziali, di cui gode la richiedente fossero sufficienti (o meno) ad assicurarle una vita dignitosa e autonoma, anche se attestata su un tenore di vita più basso. La decisione impugnata invece, prosegue l’ordinanza, si è limitata ad accertare soltanto, da un lato, la disparità economica tra le parti, “pur se la richiedente l’assegno è dotata di mezzi e ha un lavoro nel pubblico impiego assistito dalla garanzia della stabilità”, e, dall’altro, il sacrificio di una prospettiva di carriera, “ma non si accerta se si fosse determinato o aggravato uno squilibrio economico-patrimoniale prima inesistente, ovvero di minori proporzioni” (Cass. n. 22738/2021) e se l’attuale condizione della richiedente, appena quarantaquattrenne, “esiga effettivamente, per raggiungere la soglia di una dignitosa esistenza, l’apporto della sua ex compagna”.
Per quanto concerne poi la funzione compensativa, essa presuppone non soltanto un sacrificio per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali, ma anche un contributo, esclusivo o prevalente, fornito dal richiedente alla famiglia, e segnatamente alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro componente della coppia.
Del resto, le S.U. nella sentenza di rinvio avevano chiesto alla Corte di merito “non di tenere conto del fatto in sé che le parti avevano convissuto alcuni anni prima di contrarre unione civile”, ma di accertare «i presupposti necessari per il riconoscimento dell’assegno, da valutarsi in relazione alla diversa prospettiva temporale segnata dall’estensione della durata del rapporto al periodo di convivenza che ha preceduto la costituzione dell’unione civile», verificando “se l’eventuale squilibrio esistente all’atto dello scioglimento del vincolo dipendesse dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di rapporto, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare”.
La parola torna dunque alla Corte d’appello di Trieste che, in diversa composizione, dovrà procedere a un nuovo esame alla luce dei principi affermati.