Comunitario e Internazionale

Unione europea condannata a risarcimento per l’eccessiva durata del processo

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di Marina Castellaneta

L’Unione europea condannata, per la prima volta, dal Tribunale Ue per la durata eccessiva di un procedimento giurisdizionale. Gli eurogiudici, con la sentenza depositata ieri (T-577/14), hanno dato ragione alle società ricorrenti e hanno bacchettato l’operato dei colleghi per il procedimento, su una questione di concorrenza, durato troppo a lungo, in violazione dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che assicura la durata ragionevole del processo.

A rivolgersi al Tribunale Ue per l’accertamento della responsabilità extracontrattuale dell’Unione, due società che, in precedenza, avevano impugnato dinanzi al Tribunale, chiedendone l’annullamento, una decisione della Commissione europea che le aveva condannate a un’ammenda per violazione della normativa antitrust. Il Tribunale aveva respinto il ricorso, decisione confermata dalla Corte Ue. Il primo processo, però, era durato troppo a lungo, eccedendo di circa 20 mesi il periodo entro il quale si poteva ritenere che la durata fosse stata ragionevole. Di qui la nuova azione dinanzi a Lussemburgo, con il Tribunale che ha sostanzialmente accolto le richieste delle società. Respinte le eccezioni circa la prescrizione della domanda, gli eurogiudici hanno riconosciuto la presenza delle tre condizioni, richieste cumulativamente, che consentono di azionare il ricorso per responsabilità extracontrattuale in base all’articolo 340 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea: illiceità del comportamento contestato, effettività del danno e presenza di un nesso di causalità.

È evidente – osservano gli eurogiudici – che far passare 46 mesi tra la fine della fase scritta e l’apertura di quella orale non è giustificabile, malgrado la complessità delle cause sulla concorrenza. Il Tribunale, inoltre, ha valutato il comportamento delle ricorrenti e malgrado avessero chiesto la riapertura della fase scritta, il ritardo non è loro imputabile perché dovuto a un periodo di inattività da parte dell’organo giurisdizionale. Di qui la violazione dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, vincolante in base al Trattato di Lisbona. Tra l’altro i ricorsi riguardavano la concorrenza, essenziale per il buon funzionamento del mercato interno e per la sicurezza giuridica di cui devono beneficiare non solo i diretti interessati ma anche i terzi.

Per quanto riguarda il danno, chiarito che tocca al ricorrente provarne l’esistenza, il Tribunale ha accolto le doglianze delle società che hanno provato il danno materiale effettivo dovuto alle spese per la costituzione di una garanzia bancaria per il pagamento dell’ammenda alla Commissione, calcolando, però, unicamente il periodo che è andato al di là di quello ragionevole. Respinta, invece, la richiesta legata all’impossibilità di trovare subito un investitore a causa del ritardo nella pronuncia e la liquidazione dell’indennizzo per perdita di chance perché il danno non è certo né reale e la parte non ha provato il nesso di causalità tra comportamento illecito (durata irragionevole del processo) e danno.

L’Unione è stata condannata a pagare alle due società 47.064, (a cui aggiungere gli interessi) per il danno materiale e 5mila euro a ciascuna società per il danno non patrimoniale causato dall’incertezza prolungata.

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