Civile

Verifica fiscale studio legale: serve autorizzazione ad hoc per superare il segreto professionale

La Cassazione ha stabilito che in caso di opposizione del segreto professionale durante una verifica fiscale, l’autorizzazione della Procura deve essere specifica e successiva, non generica e preventiva

di Marina Crisafi

In caso di verifiche fiscali presso uno studio legale, l’opposizione del segreto professionale da parte dell’avvocato non può essere aggirata con autorizzazioni generiche e preventive, ma occorre un’autorizzazione mirata. Questo il principio che si ricava dall’ordinanza n. 16795/2025 della quinta sezione civile della Cassazione, chiamata ad esaminare il ricorso di un legale avverso la sentenza della CTR Calabria che aveva dato ragione all’Agenzia delle Entrate.

La vicenda

La controversia trae origine da un avviso di accertamento emesso dalla Direzione Provinciale di Cosenza dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di un avvocato, al quale veniva contestata l’omessa o sottofatturazione di compensi relativi all’anno 2007 ai fini IRPEF, IRAP e IVA. 

Il provvedimento si basava sulle risultanze di un accesso della Guardia di finanza presso lo studio del professionista, durante il quale era stato rinvenuto un block notes contenente nomi di clienti e importi corrisposti, ritenuto indice di contabilità parallela.

Il legale aveva opposto il segreto professionale, ma i verificatori avevano comunque acquisito la documentazione sulla base di un’autorizzazione preventiva della Procura di Paola.

Il ricorso del contribuente era stato respinto sia dalla CTP di Cosenza sia dalla CTR della Calabria, che avevano ritenuto legittima l’acquisizione, valorizzando la preventiva autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica, anche in deroga al segreto professionale.

Da qui il ricorso in Cassazione dell’avvocato. 

La decisione della Cassazione

Il Palazzaccio, pur ritenendo legittima la motivazione della sentenza regionale che aveva confermato l’accertamento, ha accolto il ricorso del professionista sul punto relativo all’autorizzazione, chiarendo che quest’ultima per superare il segreto professionale non può essere né generica né preventiva. 

Dalla lettura coordinata delle norme in materia (cfr. art. 52 del D.P.R. n. 633 del 1972), scrivono gli Ermellini, “si evince che, qualora durante l’accesso in locali destinati all’esercizio di attività professionale i verificatori intendano procedere all’esame di documenti in relazione ai quali sia stato eccepito il segreto professionale, essi devono «in ogni caso» munirsi di apposita autorizzazione del Procuratore del Repubblica o, in alternativa, dell’autorità giudiziaria più vicina”. 

Nel caso di specie, durante l’accesso eseguito dalla finanza presso lo studio legale del ricorrente, “era stato eccepito il segreto professionale relativamente ai detti documenti, onde gli operanti avrebbero potuto esaminarli soltanto in forza di un’autorizzazione «ad hoc»”. Siffatta autorizzazione, osservano ancora i giudici, “proprio perché divenuta necessaria soltanto a seguito dell’opposizione del segreto professionale, non poteva che intervenire successivamente al verificarsi della situazione che ne aveva imposto il rilascio e con specifico riferimento ai documenti per i quali l’esigenza si era manifestata. Non era, quindi, sufficiente un’autorizzazione preventiva e generica”. 

La Suprema corte richiama in merito anche la sentenza delle Sezioni Unite n. 11082/2010, con la quale è stato affermato che il «contenuto motivazionale» della detta autorizzazione «deve essere necessariamente correlato all’esigenza di esplicitare l’avvenuta comparativa valutazione delle contrapposte ragioni offerte dalle parti, ovverosia dei motivi per i quali il contribuente-professionista ha opposto il segreto professionale e delle ragioni che, secondo l’organo verificatore, rendono necessari e/o indispensabili, ai fini della verifica fiscale in atto, l’esame dei documenti e/o l’acquisizione delle notizie ”secretati“». Proprio la necessità di una «comparativa valutazione delle contrapposte ragioni offerte dalle parti» lascia chiaramente intendere come il provvedimento di cui all’art. 52, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972 possa essere legittimamente adottato, concludono da piazza Cavour, “solo dopo che il segreto professionale è stato eccepito, e non anche in via preventiva, quando ancora non è dato sapere se, ed eventualmente in relazione a quali documenti, esso sarà opposto”. 

A queste regulae iuris non si è attenuta la CTR calabrese, per cui la sentenza è cassata con rinvio

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