Il CommentoSocietà

Il controllo congiunto nelle società a pluripartecipazione pubblica

Con la recente sentenza n. 2543 del 10 marzo 2023 il Consiglio di Stato è intervenuto sulla questione della qualificabilità della società a controllo pubblico nell'ipotesi di detenzione - totalitaria o maggioritaria - del capitale sociale da parte di una pluralità di Pubbliche Amministrazioni, nessuna delle quali, tuttavia, in grado di esercitare un controllo individuale

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di Rossana Mininno

Con la recente sentenza n. 2543 del 10 marzo 2023 il Consiglio di Stato è (nuovamente) intervenuto sulla (controversa) questione della qualificabilità della società a controllo pubblico nell'ipotesi di detenzione - totalitaria o maggioritaria - del capitale sociale da parte di una pluralità di Pubbliche Amministrazioni, nessuna delle quali, tuttavia, in grado di esercitare un controllo individuale.

Il testo unico in materia di società a partecipazione pubblica

Il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (c.d. Tusp), adottato con il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, ha imposto - nella preminente prospettiva della «salvaguardia degli equilibri di bilancio» (C. conti, Sez. reg. contr. Basilicata, 29 aprile 2021, n. 31/2021/PRSP) - una serie di limitazioni alla generale capacità di diritto privato delle Pubbliche Amministrazioni.

Una prima limitazione attiene ai tipi di società in cui è ammessa la partecipazione pubblica, consistenti, esclusivamente, in «società, anche consortili, costituite in forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata, anche in forma cooperativa» (art. 3, co. 1).

Il Tusp « esclude sostanzialmente le società di persone – limitando a monte la scelta organizzativa degli enti – in ragione della natura pubblica delle risorse impiegate» (Corte cost., 4 aprile 2022, n. 86), esclusione che ha il suo fondamento nella (ontologica) incompatibilità tra il regime di responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali che caratterizza le società di persone e la finalità autorizzatoria tipica del bilancio degli enti pubblici in contabilità finanziaria.

Una seconda limitazione attiene all'oggetto sociale, essendo il ricorso allo strumento societario subordinato alla sussistenza di un «legame di stretta necessarietà» tra la partecipazione societaria e l'esercizio dei compiti istituzionali (Corte cost. n. 86/2022 cit.).

Ciò in virtù della (dirimente) considerazione che «il fenomeno delle società a partecipazione pubblica – che ha consentito anche significative innovazioni dell'intervento pubblico – si era sviluppato in modo esponenziale, con amministrazioni che vi avevano fatto ricorso in modo indiscriminato, anche per lo svolgimento di attività non riconducibili ai loro fini istituzionali, con il pregiudizievole effetto di chiudere, senza ragione, alla concorrenza determinati mercati, e, comunque, molto spesso senza rispetto dei criteri di economicità ed efficienza, con conseguenti gravi disavanzi e oneri per la finanza pubblica» ( Corte cost., 28 luglio 2022, n. 201 ):

In particolare, l'articolo 4, nel fissare le finalità perseguibili mediante la costituzione di società ovvero mediante l'acquisizione o il mantenimento di partecipazioni, ha fissato «un "doppio vincolo di scopo"» ( Cons. Stato, Sez. V, 11 maggio 2020, n. 2929 ): la norma de qua prevede al primo comma un limite di carattere generale, declinato in termini di vincolo di scopo pubblico, mentre al secondo comma un vincolo di attività, avendo specificato, nell'ambito del limite generale di cui al primo comma, le attività di produzione di beni e di servizi il cui svolgimento giustifica il ricorso allo strumento societario.

Un terzo ordine di limitazioni riguarda, segnatamente, le società a controllo pubblico, le quali, come emergente da una lettura sistematica del TUSP, sono assoggettate a « disposizioni più stringenti (cfr., per esempio, oltre ai citati artt. 11 e 19, anche gli artt. 6, 14, comma 2, e 25 TUSP) rispetto a quelle rivolte agli organismi a mera partecipazione», trattandosi di un « aggregato soggettivo a cui si riferiscono varie disposizioni precettive del testo unico » ( C. conti, Sez. reg. contr. Liguria, 24 gennaio 2018, n. 3/2018/PAR ).

Le diverse modalità di realizzazione del controllo pubblico

Ai sensi dell'articolo 2 del Tusp per "società a controllo pubblico" si intende quella in cui « una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b» (art. 2, co. 1, lett. m).

La richiamata lettera b) del medesimo articolo 2 rinvia, a sua volta, all'articolo 2359 c.c. e al concetto civilistico di influenza dominante ivi fissato, nonché alle situazioni di controllo declinate dalla disposizione codicistica.

Nel contempo, prevede un'ulteriore specifica situazione di controllo - peraltro, disomogenea rispetto alle situazioni di cui alla norma oggetto del rinvio - ravvisabile nelle ipotesi in cui, «in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo ».

Il richiamato articolo 2359 c.c., tuttavia, non fornisce una definizione di "controllo", ma definisce la "società controllata", intendendosi tale, al ricorrere di distinti presupposti, la società in cui un'altra società dispone della «maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria» (art. 2359, co. 1, n. 1, c.c.) oppure di «voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria » (art. 2359, co. 1, n. 2, c.c.) ovvero la società che è « sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa» (art. 2359, co. 1, n. 3, c.c.).

Nelle prime due ipotesi il controllo è interno ed è denominato, rispettivamente, di diritto e di fatto; nella terza ipotesi il controllo è esterno.

La nozione di controllo pubblico congiunto secondo la giurisprudenza amministrativa

La qualificazione della società a controllo pubblico nei casi di partecipazione da parte di una pluralità di Pubbliche Amministrazioni, nessuna delle quali, tuttavia, singolarmente detentrice di una quota maggioritaria del capitale sociale, è risultata, in sede applicativa, foriera di incertezze a livello interpretativo.

Il punctum dolens verte, in estrema sintesi, sulla sufficienza, al fine dell'affermazione del controllo pubblico c.d. congiunto, della detenzione - da parte dei soci pubblici unitariamente considerati - della maggioranza del capitale sociale ovvero sull'imprescindibilità, al detto fine, di forme di coordinamento funzionali all'esercizio del controllo, discendenti da norme di legge o statutarie oppure attuate mediante patti parasociali idonei a determinare l'orientamento delle scelte strategiche della società.

La questione ha una precipua rilevanza in termini di individuazione del quadro normativo di riferimento, in quanto il Tusp dedica alle società a controllo pubblico una serie di disposizioni maggiormente stringenti rispetto a quelle rivolte agli organismi a mera partecipazione pubblica, disposizioni che introducono specifiche deroghe alla disciplina di diritto comune: si tratta di disposizioni che limitano l'autonomia statutaria e/o decisionale degli organi della società, con il chiaro intento di prevenire il rischio di assunzione, da parte del soggetto pubblico detentore della posizione di controllo, di decisioni antieconomiche e/o inefficienti e, nel contempo, introducono specifiche deroghe alla disciplina di diritto comune in materia di revisione legale dei conti (cfr. art. 3, co. 2), organizzazione e gestione (cfr. art. 6), governance societaria (cfr. art. 11), controllo giudiziario sull'amministrazione (cfr. art. 13), crisi d'impresa (cfr. art. 14), gestione dei rapporti di lavoro (cfr. art. 19), trasparenza (cfr. art. 22), ricognizione e gestione del personale in servizio (cfr. art. 25) e adeguamento statutario (cfr. art. 26).

Le società a controllo pubblico sono, altresì, destinatarie della normativa in materia di prevenzione e repressione della corruzione e dell'illegalità nella Pubblica Amministrazione (cfr. art. 1, co. 2-bis, della legge 6 dicembre 2012, n. 190), nonché della normativa in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte della Pubblica Amministrazione (cfr. art. 2-bis, co. 2, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33).

In altri termini, la qualificazione della società a controllo pubblico comporta l'assoggettamento - sia delle Pubbliche Amministrazioni partecipanti che della società partecipata e dei suoi organi - a una serie di vincoli, obblighi e adempimenti prescritti ex lege, volti ad assicurare il coordinamento del controllo dei soci pubblici, nonché a legittimare la detenzione delle partecipazioni.

Sulla questione della qualificabilità della società a controllo pubblico nell'ipotesi di detenzione - totalitaria o maggioritaria - del capitale sociale da parte di una pluralità di Pubbliche Amministrazioni, nessuna delle quali, tuttavia, in grado di esercitare un controllo individuale, si sono (reiteratamente) pronunciati sia il Consiglio di Stato che i Tribunali Amministrativi Regionali.

I Giudici amministrativi sostengono la tesi dell 'insufficienza della maggioranza in assemblea al fine della configurabilità del controllo pubblico (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. V, 23 gennaio 2019, n. 578; T.A.R. Marche - Ancona, Sez. I, 11 novembre 2019, n. 695; Cons. Stato, Sez. III, 3 marzo 2020, n. 1564; T.A.R. Emilia Romagna - Bologna, Sez. I, 28 dicembre 2020, n. 858; T.A.R. Emilia Romagna - Bologna, Sez. I, 9 marzo 2022, n. 252).

Ferma restando la configurabilità del controllo pubblico anche quando le fattispecie di cui all'articolo 2359 del codice civile si riferiscono a una pluralità di Pubbliche Amministrazioni, il legislatore «certamente consente al soggetto pubblico di ritenere modalità organizzativa adeguata la società nella quale l'amministrazione pubblica detenga una partecipazione minoritaria » (Cons. Stato n. 578/2019 cit.).

La partecipazione pulviscolare (detta anche frazionata o polverizzata) è «in principio inidonea a consentire ai singoli soggetti pubblici partecipanti di effettivamente incidere sulle decisioni strategiche della società, cioè di realizzare una reale interferenza sul conseguimento del c.d. fine pubblico di impresa […] in presenza di interessi contrastanti e, in ultimo, impeditivi» (Cons. Stato n. 578/2019 cit.).

L'impossibilità di una reale interferenza costituisce la conseguenza, sul piano effettuale, della «debolezza sia assembleare sia, di riflesso, amministrativa» (Cons. Stato n. 578/2019 cit.) riveniente dalla «particolare modestia della partecipazione al capitale» (Cons. Stato n. 578/2019 cit.): tuttavia, «i soci pubblici ben possono s opperire a detta debolezza stipulando patti parasociali al fine di realizzare un coordinamento tra loro, in modo da assicurare il "loro controllo sulle decisioni più rilevanti riguardanti la vita e l'attività della società partecipata" (si veda Cons. St., sez. V, 23 gennaio 2019, n. 578)"» (Cons. Stato n. 1564/2020 cit.).

In altri termini, poiché nelle società pluripartecipate il controllo pubblico «non sussiste in forza della mera sommatoria dei voti spettanti alle amministrazioni socie» (T.A.R. Emilia Romagna n. 252/2022 cit.) nel senso che «non è possibile desumere il controllo pubblico dalla semplice astratta possibilità per i soci pubblici di fare valere la loro maggioranza azionaria in assemblea» (T.A.R. Marche n. 695/2019 cit.), al fine della configurabilità del controllo pubblico congiunto è necessario che « le amministrazioni socie ne condividano il dominio, perché […] vincolate - in forza di previsioni di legge, statuto o patto parasociale - ad esprimersi all'unanimità, anche attraverso gli amministratori da loro nominati » (T.A.R. Emilia Romagna n. 252/2022 cit.).

I Giudici amministrativi ritengono, in estrema sintesi, che, «anche se la semplice "atomizzazione" dei soci pubblici […] non è ovviamente sufficiente ad escludere la possibilità di controllo pubblico» (T.A.R. Marche n. 695/2019 cit.), il controllo pubblico congiunto «non possa prescindere dalla presenza di forme di coordinamento dell'agire dei numerosi soci che detengono la maggioranza» (T.A.R. Marche n. 695/2019 cit.).

Si appalesa, pertanto, ineludibile il ricorso a strumenti negoziali (quali, a titolo esemplificativo, i patti parasociali) che «possano dar modo alle amministrazioni pubbliche di coordinare e dunque rinforzare la loro azione collettiva e, in definitiva, di assicurare un loro controllo sulle decisioni più rilevanti riguardanti la vita e l'attività della società partecipata» (Cons. Stato n. 578/2019 cit.) ovvero tramite la previsione, nell'atto costitutivo, di un organo speciale «deputato ad esprimere la volontà dei soci pubblici» (Cons. Stato n. 578/2019 cit.).

La tesi, sostenuta dalla giurisprudenza amministrativa, circa la non automatica riconducibilità alla partecipazione maggioritaria al capitale sociale della qualificazione della società come a controllo pubblico, essendo a tal fine necessario verificare l'effettivo esercizio da parte dei soci pubblici del controllo sulla società, è stata di recente ribadita dai Giudici della V Sezione del Consiglio di Stato, i quali - dopo aver ricordato che la nozione di controllo pubblico congiunto è, allo stato, «controversa e non univoca» - hanno statuito che « non è sufficiente […] una semplice sommatoria delle partecipazioni di soggetti pubblici tale da esprimere la maggioranza del capitale sociale - potendosi diversamente conformare e modulare gli assetti di potere nell'ambito degli organi societari - ma occorrono piuttosto, in assenza di un controllo monocratico ex art. 2359 Cod. civ., atti o accordi che vincolino i soggetti pubblici all'esercizio congiunto delle loro prerogative » ( sentenza n. 2543 del 10 marzo 2023 ).