Amministrativo

Codice beni culturali: le norme sull’esportazione sono coerenti con quelle sulla dichiarazione dell’interesse culturale

La Corte costituzionale con la sentenza n. 160, depositata oggi, ha dichiarato non fondate le questioni sollevate sull’articolo 65, comma 4-bis, secondo periodo, del codice dei beni culturali

Il codice dei beni culturali appronta un sistema armonico e coerente tra la disciplina dell’individuazione dei beni culturali e le regole dell’esportazione degli oggetti di rilievo storico-artistico: infatti, solo dalla qualifica di una cosa come bene culturale deriva il divieto della sua uscita dal territorio della Repubblica (art. 65), mentre il previsto controllo sulla circolazione internazionale degli oggetti di “rilievo culturale” è espressamente finalizzato a preservare l’integrità del patrimonio storico-artistico nazionale in tutte le sue componenti (art. 64-bis). E ciò vale, senza distinzioni, sia per il regime ordinario di esportazione (previa autorizzazione dell’amministrazione) sia per il regime semplificato di esportazione (su dichiarazione dell’interessato, salvo controllo della p.a.).

È su questo assunto, unito a considerazioni tecniche sulle norme codicistiche in rilievo, che la Corte costituzionale con la sentenza numero 160, depositata oggi, ha dichiarato non fondate le questioni sollevate sull’articolo 65, comma 4-bis, secondo periodo, del codice dei beni culturali per violazione degli articoli 3, primo comma, e 9, secondo comma, della Costituzione.

Secondo il Consiglio di Stato rimettente, l’articolo censurato andava interpretato nel senso che, nell’attività di controllo sull’uscita dall’Italia delle cose di rilievo culturale sottoposte al regime semplificato di esportazione, l’amministrazione culturale ha il potere di apporre il vincolo nel “solo caso in cui” un oggetto presenti un interesse culturale «eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione» (art. 10, comma 3, lettera d-bis) e non anche negli altri casi in cui, secondo l’articolo 10, comma 3, del codice (lettere a-d ed e), la cosa può essere vincolata per altre ragioni di interesse culturale.

La Corte costituzionale con una sentenza interpretativa di rigetto ha affermato che la disposizione ha un significato differente: “nel caso (tra gli altri) in cui” l’oggetto rientri nella tipologia di cose di cui alla lettera d-bis, valgono delle apposite regole sul procedimento di apposizione del vincolo (la competenza dell’ufficio di esportazione ad avviare il procedimento, nonostante per l’apposizione del vincolo sia competente Ministero della cultura, e il dimezzamento del termine per provvedere). Tali regole speciali si giustificano per la peculiarità della fattispecie dei cosiddetti “beni di completamento” (art. 10 comma 3, lettera d-bis), che garantisce la salvaguardia del patrimonio storico-artistico nell’estrema ipotesi in cui l’oggetto non presenti un “interesse culturale intrinseco” di particolare importanza, ma solo – e con grado eccezionale − nel suo nesso con il patrimonio nel suo complesso.

Escluso, quindi, che la disposizione ponga una norma che limita il potere di dichiarare l’interesse culturale e ritenuto, piuttosto, che essa ponga delle norme sull’esercizio di tale potere in un caso specifico, risultano superati tutti i profili di contrasto con i principi di ragionevolezza, eguaglianza e tutela del patrimonio culturale lamentati dal giudice a quo.

In particolare: 1) uno stesso oggetto può essere vincolato tanto se “intercettato” dall’amministrazione nello svolgimento delle variegate attività di tutela del patrimonio culturale sul territorio, tanto nell’attività di controllo dell’esportazione; 2) ciò impedisce la perdita per il patrimonio storico-artistico delle sue componenti e dunque di qualunque cosa che, per i suoi caratteri sostanziali, può essere dichiarata bene culturale, ai sensi dell’articolo 10 comma 3, del codice; 3) non sussiste diverso trattamento tra le diverse tipologie di cose che possono essere vincolate.

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