Il CommentoCivile

La Consulenza Tecnica in mediazione dopo la Riforma Cartabia

Con la modifica apportate dalla Riforma all’8 del D. Lgs. 28/2010, sono state introdotte significative incertezze nell’interpretazione adottata precedentemente dal Tribunale di Roma

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di Alberto Del Noce*

Il D. Lgs. 28/2010 identifica due figure di consulenti: il Co-mediatore ed il vero e proprio Consulente

Consulente Tecnico Co-mediatore

L’art. 8 del D. Lgs. 28/2010 prevede che “nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari”.

La Riforma Cartabia (D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149) ha mantenuto questa possibilità, permettendo al mediatore di essere affiancato da co-mediatori esperti nominati dall’organismo. Il D.M. 24 ottobre 2023, n. 150, ha confermato che le spese di mediazione, come definite dal regolamento, restano fisse anche con la nomina di mediatori ausiliari, in ossequio alla Direttiva 2008/52/CE del Parlamento Europeo. Quest’ultima salvaguarda la legislazione nazionale che rende la mediazione obbligatoria o la sottopone a incentivi o sanzioni, purché non impedisca l’accesso al sistema giudiziario. Tuttavia, l’uso di questa figura è raro, data la sua scarsa utilità ai fini delle strategie di negoziazione e scarsa remuneratività sia per il mediatore sia per il co-mediatore.

Consulente Tecnico in mediazione

Sempre l’art. 8 del D. Lgs. 28/2010, al secondo comma, prevede che “il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell’organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti. Al momento della nomina dell’esperto, le parti possono convenire la producibilità in giudizio della sua relazione, anche in deroga all’articolo 9. In tal caso, la relazione è valutata ai sensi dell’articolo 116, comma primo, del Codice di procedura civile”.

Si aprono quindi alcuni temi:

1) perché ricorrere alla consulenza tecnica?

2) la relazione del Consulente Tecnico (d’ora in poi denominato CTM) è riservata o si può produrre nel giudizio ordinario?

3) quali consulenti posso nominare?

4) qual è il compenso del CTM?

5) chi nomina il CTM?

Perché ricorrere alla consulenza tecnica?

Il ricorso alla consulenza tecnica, che – si ricorda – non può esser imposta dal mediatore ma è volontaria, ha senza alcun dubbio molteplici vantaggi.

Innanzitutto, una consulenza tecnica svolta in mediazione è da preferire a una consulenza tecnica in sede giudiziale per un oggettivo risparmio di tempi e costi. Ma anche e, soprattutto, per la possibilità data alle parti di incidere sulla scelta del consulente e formulazione dei quesiti (elementi nel giudizio rimessi invece all’insindacabile decisione del giudice del processo ordinario). La scelta del consulente non è di poca rilevanza poiché permette di eliminare i rischi delle turnazioni processuali, poiché le parti, con l’aiuto del mediatore, possono scegliere o far scegliere il tecnico che più è affidabile e competente per la questione tecnica che si sta affrontando.

Agevola poi un’eventuale rapida soluzione della controversia oggetto di mediazione, poiché le parti possono verificare le possibilità degli esiti processuali quando le divergenze sono nelle valutazioni tecniche.

Altro non indifferente vantaggio è la mancanza di formalità della procedura (“Il procedimento si svolge senza formalità” – art. 8, comma 2). In altre parole, non vi sono tutte quelle preclusioni previste dagli artt. 87 disp. att. c.p.c. e art. 194 c.p.c. Pertanto, l’esame dell’aspetto tecnico può muoversi nella sua interezza e completezza senza incontrare quei filtri processuali che poi impongono quel formalismo che allontana il giudizio dalla verità sostanziale.

Per ultimo, possiamo poi ricordare l’art. 13 D. Lgs. 28/2010 che prevede che, in caso di proposta del mediatore, quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto e la condanna “altresì alle spese per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’articolo 8, comma 4”.

Infine, vi è la eventuale possibilità di non ripetere le operazioni peritali nell’eventuale giudizio ordinario, in caso di fallimento della mediazione. Si apre però a questo punto il tema della riservatezza della relazione peritale.

La relazione del Consulente Tecnico (d’ora in poi denominato CTM) è riservata?

In armonia la Direttiva 2008/52/CE, l’art. 9 del D. Lgs. 28/2010 prevede che “chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o partecipa al procedimento di mediazione è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo”. Il successivo art. 10 prevede che “le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni

L’obbligo di riservatezza trova la sua ragion d’essere nella necessità di favorire quanto più possibile l’instaurazione tra le parti presenti in mediazione di un clima libero e disteso, di sincero confronto, tanto nelle sessioni congiunte quanto in quelle separate, in modo tale da consentire ad ognuna di esse riaprirsi senza timori, potendo esprimere, fino in fondo il suo punto di vista, con le relative aspettative e richieste. Tale principio ha portata decisiva perché consente al legislatore di incentivare l’uso della mediazione, nonché di agevolare l’operato del mediatore alla ricerca di un accordo in grado di soddisfare i contrapposti interessi.

Fatte queste premesse, occorre porre in evidenza come, prima della Riforma Cartabia , il D. Lgs. 28/2010 nulla prevedeva in ordine al principio di riservatezza nelle consulenze tecniche assunte nel procedimento di mediazione. Nulla si rinveniva nella Legge Delega del 18 giugno 2009 n. 69.

Il primo a decidere sul tema è stato il Tribunale di Roma che con ordinanza del 17 marzo 2014 ha precisato che le dichiarazioni rese e le affermazioni acquisite non sono quelle del CTM poiché il suo lavoro “si estrinseca (ed esaurisce) nella motivata esposizione dei risultati dei suoi accertamenti tecnico-specialistici”. Ovviamente, il CTM non può raccogliere e riportare dichiarazioni delle parti o informazioni provenienti dalle stesse ma si deve limitare a dare le sue valutazioni tecniche. In tal senso, per il Tribunale di Roma la relazione peritale non era riservata e poteva esser prodotta nel successivo giudizio ordinario. Secondo il Tribunale romano “non si deve enfatizzare oltre ogni limite il principio della riservatezza, rischiando di andare oltre quello che il legislatore ha stabilito. Riservatezza ad ogni costo e sempre non significa infatti agevolare con sicurezza il successo della mediazione ed il raggiungimento dell’accordo. …. le parti potrebbero, per il timore di una sua circoscritta utilità, rifiutarsi di acconsentire alla nomina, da parte del mediatore, di un esperto anche quando l’ausilio di un tecnico specializzato potrebbe chiarire aspetti fondamentali, perché dubbi, della situazione in conflitto ed il farsi carico della spesa non irrisoria per il compenso da attribuire all’esperto potrebbe apparire inappropriato e non conveniente proprio per la prospettiva di non poter produrre la relazione dell’esperto nella causa che potrà seguire”.

Tale principio è stato ribadito l’anno successivo dal medesimo Tribunale: con ordinanza del 16/7/2015 il giudice, dopo aver illustrato i vantaggi pratici della consulenza in mediazione (“l’interlocuzione diretta con il mediatore ed il consulente tecnico, la formulazione personale dei quesiti, i costi irrisori della consulenza da dividere tra le parti, i tempi di svolgimento e conclusione del procedimento”), il Tribunale di Roma ha tracciato i fondamentali principi cui deve attenersi il consulente:

  • il rispetto del contraddittorio;
  • l’astensione dall’acquisizione in mancanza del consenso, delle dichiarazioni delle parti;
  • il contenimento dell’attività di consulenza nel perimetro dei quesiti che le parti di comune accordo abbiano inteso demandargli.

Così si è anche espresso il Tribunale di Parma, Ordinanza del 13 marzo 2015, prima sezione civile, confermando la possibilità di utilizzare la relazione peritale redatta in mediazione, motivando tale decisione sull’assunto che “l’attendibilità della perizia è conseguenza del fatto che il CTM viene nominato da un soggetto terzo e imparziale quale l’organismo di mediazione”. Così il Tribunale Ravenna con sentenza 14 marzo 2022 n. 154.

Sempre il Tribunale Roma (Ordinanza 3 aprile 2018) ha precisato che occorreva “conferire un’interpretazione restrittiva del disposto dell’art. 10 nella parte cui pone un divieto di utilizzazione con riferimento esclusivo alle “dichiarazioni rese” o alle “informazioni acquisite”: trattandosi di una clausola normativa di inutilizzabilità la stessa non si presta ad interpretazione analogica, dovendo espandersi il principio del libero convincimento nell’apprezzamento delle altre prove non aventi natura dichiarativa e non ricomprese nel citato disposto dell’art. 10”.

Non si possono nascondere voci contrarie , come ad es. la Corte di Appello di Milano, che ha ritenuto che l’efficacia, il corretto funzionamento e il buon esito del procedimento di mediazione sono garantiti proprio per l’effetto della rigorosa osservanza del principio di riservatezza, disciplinato dagli artt. 9 e 10 del D. Lgs. n. 28/2010, la cui inderogabilità è sancita anche dal legislatore comunitario con l’articolo 7 Direttiva CE 2008/52 (Corte d’Appello di Milano, 26/6/2021 n. 1767).

Se la prevalenza interpretativa era però nel senso tracciato dal Tribunale di Roma, il problema è insorto con la Riforma Cartabia.

Infatti, tale Riforma ha inserito la seguente aggiunta all’art. 8 del D. Lgs. 28/2010: “al momento della nomina dell’esperto, le parti possono convenire la producibilità in giudizio della sua relazione, anche in deroga all’articolo 9. In tal caso, la relazione è valutata ai sensi dell’articolo 116, comma primo, del Codice di procedura civile ”.

Così si legge nella Relazione Illustrativa allegata alla Cartabia laddove prevede “le parti, al momento della eventuale nomina dell’esperto, possano accordarsi per stabilire che la relazione da questi redatta possa essere prodotta nell’eventuale processo davanti al giudice. L’accordo …”. Anche la Relazione della Commissione Luiso (del 2021) prevedeva la possibilità di utilizzo della perizia “con il consenso delle parti, espresso al momento della nomina”.

Con la modifica della Riforma all’art. 8 cit. sono state introdotte quindi significative incertezze nell’interpretazione adottata precedentemente dal Tribunale di Roma. Così come è ora scritta la norma la consulenza tecnica, al pari di ogni altro documento prodotto durante il procedimento di mediazione, potrebbe essere considerata riservata e, di conseguenza, non utilizzabile dalle parti al di fuori di tale contesto. Questo divieto di utilizzo assume ancora maggiore rilevanza in un eventuale processo giudiziario che potrebbe insorgere in seguito al mancato accordo nella mediazione.

Fermo che, vertendosi in tema di diritti disponibili e in forza di quanto previsto dall’art. 10 D. Lgs 28/2010, è facoltà delle parti derogare - di comune accordo - al suddetto limite con facoltà di utilizzo della perizia anche nell’eventuale giudizio, appare a questo punto cautelativo che il mediatore e le parti inseriscano in verbale la seguente clausola:Le parti concordano che, in conformità con quanto previsto dall’art. 10 del Dlgs 28/2010, l’elaborato peritale potrà essere liberamente utilizzato anche al di fuori della presente procedura e quindi anche nell’eventuale giudizio che dovesse iniziare a seguito di un esito negativo della mediazione”. Diversamente, si rischia la contestazione della producibilità della relazione peritale nel giudizio ordinario.

Ovviamente, questo discorso non vale per un’eventuale perizia contrattuale e cioè quella perizia ove le parti rimettono a un terzo la determinazione della prestazione dedotta nel contratto, che è quindi considerata direttamente riconducibile alla volontà dei contraenti per realizzare una cooperazione tra le parti ed il terzo nell’attività di completamento del regolamento d’interessi.

In questo caso, infatti,

  • le parti si vincolano reciprocamente in ordine all’accertamento tecnico su un quesito tecnico (non giuridico)
  • evitano che sull’elemento oggetto di perizia intervenga il potere cognitivo della giurisdizione
  • eventuale accordo parziale su un punto della controversia

Quali consulenti posso nominare?

L’art. 8 D. Lgs. 28/2010 prevede che “il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali”.

Con la Riforma Cartabia oggi abbiamo tre Albi:

1) Albo dei CTU presso ogni Tribunale, diviso per categorie, cioè per discipline o gruppo di discipline

2) Elenco Nazionale dei CTU, suddiviso per categorie

3) Albo dei periti in materia penale, disciplinato dall’art. 67 disp. att. c.p.p. e dall’art. 14 del D.L. n. 83/2015

A parere del sottoscritto pare non esser però precluso per le parti nominare un tecnico di comune fiducia che non sia iscritto in uno dei tre Albi sovra indicati.

Qual è il compenso del CTM?

Sempre l’art. 8 D. Lgs. 28/2010 prevede che “il regolamento di procedura dell’organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti”.

Primo riferimento è quindi il Regolamento dell’Organismo di mediazione coinvolto, che obbligatoriamente deve prevedere sul punto. Poi vi è il D.M. 30 maggio 2002 attualmente in vigore per la liquidazione dei CTU.

Nulla però impedisce alle parti di convenire con il CTM un compenso diverso, meglio se ancorato alle tabelle previste per le liquidazioni delle CTU. In questo caso, se ci si discosta dal Regolamento occorre ricordare che il perito iscritto ad un albo professionale soggiace all’osservanza dell’obbligo di preventivo scritto ai sensi della legge 4 agosto 2017 n. 124, di cui può costituire un valido equipollente l’accordo tra il consulente e le parti siglato dinanzi al mediatore.

Si ricorda D.M. 180/2010, all’art. 16 comma 11, così come modificato dal D.M. 150/2023, ha confermato che “le spese di mediazione indicate sono dovute in solido da ciascuna parte che ha aderito al procedimento”.

Chi nomina il CTM?

Fermo che il consulente co-mediatore deve esser nominato dall’organismo (art. 8, primo comma, D. Lgs. 28/2010), il nominativo del CTM può esser “indicato” dalle parti o, in caso di disaccordo dall’Organismo. Rimane fermo però che, trattandosi di attività stragiudiziale, la “nomina” dovrà esser fatta dalle parti. Al momento della nomina, parti e mediatore dovranno precisare

  • i quesiti ed il termine entro cui la perizia dovrà essere redatta;
  • i documenti che intendono mettere a disposizione del CTM (eventualmente autorizzandolo a proocurarsene di ulteriori);
  • la nomina dei consulenti di parte e di eventuali ausiliari del perito;
  • la procedura (ad es., utilizzo della documentazione; bozza ed osservazioni con termini, ecc.);
  • la quantificazione dei compensi del perito e i termini del relativo pagamento
  • la riservatezza della perizia ovvero l’espresso consenso all’utilizzo di essa in un successivo eventuale giudizio;
  • che non dovranno in ogni caso esser inserite nella relazione eventuali dichiarazioni rese dalle parti.

È evidente che, trattandosi di attività stragiudiziale, il CTM non dovrà giurare.

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*A cura dell’Avv. Alberto Del Noce, Avvocato del Foro di Torino, Vicepresidente dell’Unione Nazionale delle Camere Civili e Responsabile della Commissione ADR dell’Unione Nazionale delle Camere Civili