Penale

Rito Covid in Cassazione: nessuna nullità in caso di mancato rispetto dei termini diversi dalla richiesta di trattazione orale

Con la sentenza n. 6207 la Suprema corte si è espressa anche sulla contestazione "aperta" del reato di atti persecutori

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di Aldo Natalini

Rito Covid nel giudizio penale di legittimità: in mancanza di un’espressa previsione di perentorietà dei termini indicati nell’articolo 23, comma 8, del Dl n. 137/2020 (cosiddetto Ristori uno), convertito, con modificazioni, in legge n. 176/2020 - ad eccezione di quello stabilito in tema di richiesta di trattazione orale - non costituisce motivo di nullità il mancato rispetto delle altre cadenze temporali indicate nel suddetto articolo rilevando, perché ricorra una delle nullità previste dall’articolo 178, comma 1, lettere b) e c), del Cpp, solo la circostanza che una delle parti non sia stata messa in condizione di concludere.

Così la sentenza n. 6207/2021 – depositata il 17 febbraio – con cui i Supremi giudici della V Sezione penale, in via preliminare, hanno disatteso la richiesta di rinvio dell’udienza formulata dalla difesa dell’imputato, che eccepito la tardività della ricezione della requisitoria scritta rassegnata dal Pg ai sensi del “rito Covid” valevole fino a cessata emergenza sanitaria.

Per i Supremi giudici, a ben vedere le conclusioni scritte della Procura generale erano state tempestivamente depositate via pec entro i quindici giorni prima della data di udienza, sebbene la cancelleria le avesse inviate alle parti private solo in data successiva ma comunque in tempo utile – nei previsti cinque giorni dall’udienza – per la presentazione delle rispettive conclusioni della parte civile e dell’imputato, anche in replica al Pg.

Il compiuto esercizio del diritto di difesa esclude perciò l’eccepita violazione dei termini dell’articolo 23, comma 8, del Dl Rilancio, in mancanza in parte qua di un’espressa previsione di perentorietà e della correlata sanzione di nullità.

 

Il dictum: solo i termini per la richiesta di discussione orale sono perentori

La sentenza in esame – che si allinea al generale principio di tassatività delle nullità processuali – è la prima edita in tema di mancato rispetto delle cadenze temporali previste dal “rito Covid” non partecipato applicabile ratione temporis in Cassazione sul modello dell’articolo 611 del Cpp ai ricorsi proposti per la trattazione a norma degli articoli 127 e 614 del Cpp ove nessuna delle parti abbia fatto richiesta di discussione orale nel termine « perentorio di venticinque giorni liberi prima dell’udienza» (sul punto vedi A. Natalini, «Si torna alle sedute a porte chiuse, rito Covid fino al 30 gennaio», in «Guida al diritto», 2020, n. 45, pagine 67-68;).

Invero la disciplina emergenziale – applicabile, allo stato, fino al 30 aprile 2021 (in forza dell’ultima delibera di proroga del Consiglio dei ministri del 16 gennaio scorso: vedi quotidiano NT Plus Diritto del 20 gennaio 2021) – attribuisce solo a quest’ultimo termine natura esplicitamente perentoria , mentre prevede, proprio nel caso in cui non vi sia richiesta di trattazione orale, che «entro il quindicesimo giorno precedente l’udienza, il procuratore generale formula le sue richieste con atto spedito alla cancelleria della Corte a mezzo di posta elettronica certificata. La cancelleria provvede immediatamente a inviare, con lo stesso mezzo, l’atto contenente le richieste ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l’udienza, possono presentare con atto scritto, inviato alla cancelleria della corte a mezzo di posta elettronica certificata, le conclusioni» (sul difetto di raccordo normativo tra il termine generale imposto per la comunicazione dell’avviso di udienza camerale e quello per esercitare il diritto alla discussione orale nel corrente regime emergenziale, vedi Cassazione, sezione I penale, n. 37802/2020, commentata nel quotidiano NT Plus Diritto del 6 gennaio 2021).

È quindi evidente per la Corte regolatrice che nessuna nullità può prospettarsi per il mancato rispetto delle cadenze temporali suindicate – siccome non espressamente contemplate – dovendo sottolinearsi che il legislatore urgente ha solo previsto che, dopo l’acquisizione via pec della requisitoria scritta, essa sia con lo stesso mezzo telematico « immediatamente » comunicata alla difesa, perché sia messa in condizioni di presentare le conclusioni scritte, anche replicando a quelle della Procura Generale. La sequenza procedimentale, prevista nell’indicata norma emergenziale per ragioni organizzative, evidenzia – scandisce la sentenza in commento – come il legislatore «si sia preoccupato solo del fatto che sia la parte civile che concludano dopo avere conosciuto la requisitoria del Procuratore Generale, non condizionando affatto lo svolgimento del processo alla comunicazione tempestiva di tale requisitoria».

Questa scelta legislativa – come pure l’odierna decisione di legittimità – appare conforme ai principi già affermati dalla Cassazione penale in tema di procedimento camerale.

Un recente arresto aveva precisato che anche l’omessa formulazione (in parte o in toto) delle conclusioni da parte del Procuratore Generale, così come previste dall’articolo 611, comma 1, del Cpp, non impedisce la decisione del Collegio, atteso che ricorre la nullità ex articolo 178, comma l, lettera b), del Cpp unicamente nel caso in cui il Pm – principio ovviamente estensibile alla Difesa per eadem ratio non sia stato messo nelle condizioni di concludere (Cassazione, sezione II penale, n. 24629/2020, Ced 279552: fattispecie in cui il Pg aveva rassegnato le proprie conclusioni soltanto nei confronti di alcuni ricorrenti). E questo assunto trova a sua volta conferma – sia pure a contrario ovvero implicitamente – in altra recente decisione con la quale la Cassazione ha ritenuto che la requisitoria scritta depositata dal Pg oltre il quindicesimo giorno antecedente l’udienza, previsto dal citato art. 611, comma 1, Cpp, è tardiva e delle relative argomentazioni e conclusioni la Corte di cassazione non deve tener conto, essendo detto termine funzionale alle esigenze di effettività ed adeguatezza del contraddittorio cartolare in vista dell’udienza (Cassazione, sezione I penale, n. 28299/2019, Ced 276414).

  La “contestazione aperta” nel reato di stalking

A fronte del secondo motivo di ricorso per cassazione in cui l’imputato lamentava la valorizzazione, nella sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 612-bis del Cp, di condotte asseritamente estranee al capo di imputazione ed oggetto di altro procedimento (con conseguente violazione del principio del ne bis in idem ), la decisione in commento contiene anche un’interessante presa di posizione sulla cosiddetta “contestazione aperta” declinata al reato di atti persecutori (che è reato abituale e non permanente, che si consuma col compimento dell’ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa dell’abitualità del reato: vedi da ultimo Cassazione, sezione V penale, n. 1172/2021, commentata in «Guida al diritto», 2020, n. 7, pagine 85-87).

Ribadiscono oggi gli Ermellini del Palazzaccio come nel caso di contestazione cosiddetta aperta – ove cioè il capo di imputazione indica solo la data di inizio (o di accertamento) della condotta ovvero la individua come “in atto” (o “permanente” nei reati permanenti) senza fissare alcun termine cronologico di cesura dell’attività delittuosa – il termine finale di consumazione del reato può farsi coincidere con la pronunzia della sentenza di primo grado che cristallizza l’accertamento processuale ma ciò solo laddove i nuovi fatti, successivi a quelli accertati prima dell’esercizio dell’azione penale, siano emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale (Cassazione, sezione V penale, n. 17350/2020, Ced 279401; Id., n. 6742/2018, Ced 275490; Id., n. 22210/2017, Ced 270241). Nell’ipotesi di “contestazione aperta” il giudizio di penale responsabilità dell’imputato può estendersi, senza necessità di modifica dell’originario editto accusatorio, anche a fatti verificatisi successivamente alla presentazione della denunzia-querela (purché) accertati nel corso del giudizio, non determinandosi una trasformazione radicale della fattispecie concreta nei suoi elementi essenziali, tale da ingenerare incertezza sull’oggetto dell’imputazione e da pregiudicare il diritto di difesa (così anche Cassazione, sezione V penale, n. 15651/2020, Ced 279154). E poiché nella specie al momento della sentenza impugnata in sede di legittimità non era ancora intervenuta una decisione relativa alle altre condotte poste in essere dall’imputato in danno delle medesime parti offese, la Cassazione esclude senza mezzi termini che ricorra alcuna preclusione ex articolo 649 del Cpp nella valutazione delle condotte oggetto dell’editto accusatorio.

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